Soprattutto la notte

Una premessa: non lasciatevi ingannare dal titolo del film, Due giorni una notte. Madre di due bimbi, Sandra rientra in fabbrica e scopre che la sua assenza per malattia è stata utilizzata per deliberare il suo licenziamento. Con un ballottaggio, i suoi colleghi avevano consentito in maggioranza tale decisione, suggeriti di valutare, grazie alla riduzione del personale, più ore di lavoro e un significativo bonus del loro salario. La responsabile sindacale del gruppo ottiene però dal direttore della ditta che il ballottaggio delle parti in causa venga richiesto di nuovo e con più chiarezza, alla ripresa del loro lavoro.

A Sandra resta dunque di andare a trovare a casa ciascuno dei colleghi durante il fine settimana, per invitarli a rinunciare alla promessa dell’aumento salariale (forse vana, di certo illegittima) per salvarla così dal licenziamento. Solo due giorni dunque, per convincere gli altri a cambiare il verdetto: ecco la sfida enfatizzata dal titolo, che suggerisce, come in tanti classici film, l’idea della lotta contro il tempo, nella quale la “missione impossibile” viene conseguita per la forte determinazione e la fiducia incrollabile da parte dell’eroe. Eroe che ne subisce di tutti i colori, ma continua a crederci e lottare. Mentre Sandra – ecco il punto – non ci crede proprio: esita, vorrebbe restare nascosta, scomparire. Anche il montaggio e la costruzione lenta e sobria del film, che la seguono continuamente, non trasmettono fretta e concitazione. «Non ti vergogni?», aggrediscono alcuni tra i colleghi di fronte alla sommessa richiesta d’appoggio di Sandra, facendole capire che nessuno può rinunciare a un possibile aumento, magari atteso da anni. Non lo fanno per mero egoismo, ma per necessità. Nemmeno i superiori sembrano spietati, ma solo messi alle strette dalla crisi inevitabile. Sandra lo capisce benissimo e si scusa con tutti, proprio si vergogna e convince che in fondo i colleghi hanno ragione, come ha ragione la ditta che vuole tagliarla in quanto non all’altezza.

Perché tutto questo, che depriva la protagonista d’ogni eroica determinazione e costringe la trama del film quasi a incepparsi? La malattia che aveva bloccato Sandra e preoccupato la ditta era in effetti una seria forma di depressione. Il sostegno e l’incitamento paziente del marito Manu non fanno che sottolineare queste incapacità. L’amorevole Manu si muove come fosse il regista: far funzionare la trama, sbloccare ciò che la congela. E proprio per questo, sorprendentemente, aiuta a cogliere il tema analizzato con scrupolo: non tanto la grande questione sociale (accennata senza assalti politici) ma proprio la depressione, la fragilità, il bisogno di piangere e rinunciare a diverse realtà e prospettive sentendosi incapaci di sostenerle, non il correre trafelati nei “due giorni” narrati, ma la “notte” che li adombra e minaccia. E tuttavia anche la lotta faticosa e precaria di Sandra e il suo riscatto sono raccontati con strana pacatezza. Come se si rimandasse ad altro. Come se la depressione fosse la chiave per raccontare quello che la crisi economica davvero richiama e minaccia, per molti e forse ciascuno di noi.

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