Tutto un fuori programma. Anzi, scandalo.

Vangelo: Marco 11,1-10; 14,1-15,47

I discepoli portarono un puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: Osanna! (Mc 11,7-9). Era un asino quel puledro: perché smorzare il realismo della vicenda con un termine in apparenza un po’ più nobile? Un asino. Con tutto quello che evoca questo quadrupede: fatica, mitezza, ferialità, insignificanza. Bestia da soma. Nessun conquistatore ha mai fatto il suo ingresso solenne a dorso d’asino. E nessuna accoglienza è mai stata più sincera di questa. Solo Gesù, Figlio di Dio, poteva decidere di comportarsi così. Perché Dio è santo, cioè diverso appunto.

Pietro disse a Gesù: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano pure tutti gli altri (14,29-31). Non di rado la presunzione contagia anche le migliori intenzioni. Quasi sempre è la faciloneria, la superficialità, l’avventatezza a farci presumere di noi stessi. E quel che è peggio è l’ostinazione che l’accompagna. Perché non passiamo in rassegna anche i nostri fallimenti per trarre qualche salutare conclusione su noi stessi? Non per demoralizzarci o lasciar cadere le braccia, ma per non rischiare di montarci la testa ripetutamente. E per imparare ad essere discepoli in serena umiltà.

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: «Sedetevi qui, mentre io prego». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate» (14, 32-34).

È umano, è perfino normale ricorrere a Dio nelle ore della prova. Ma i cristiani – diceva Bonhoeffer – son quelli che fanno compagnia a Dio nelle sue prove. Ci è mai passato per la mente il sospetto che anche Dio ha bisogno talora di qualcuno che gli stia vicino? Per cos’altro ci avrebbe creati simili a lui se non per la soddisfazione di starci accanto e la consolazione di esserne ricambiato?

Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco… venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici» (14,54-68). No, non dev’esser stato molto convincente nella sua risposta se di lì a poco la scena s’è ripetuta altre due volte. Caro Pietro (figura nostra, come ti chiamerà S.Agostino): tu ci rappresenti tutti. Non siamo granchè specialisti nel mantenere i nostri propositi, ma nemmeno nel nascondere le nostre incoerenze. D’altronde, a quanto pare, non è questo l’assolutamente determinante. Ciò che conta di più è avere sempre una riserva di lacrime, e nutrire una sconfinata fiducia in quel Messia che ha affascinato te e noi con la sua coerenza, e con quella sua tipica, sconfinata misericordia.

Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo (15,20-21). È passato alla storia semplicemente come il “Cireneo” (era forse parente, o amico del buon Samaritano?). Il suo unico programma, quel giorno, era di tornarsene a casa, sudato e sporco come sempre dopo aver faticato tutta la mattina in quel campo arido e pietroso; aveva pur diritto di prepararsi alla Pasqua! Ma quel programma gli è stato mandato all’aria con la costrizione. (Un consiglio, a questo punto: se avete bisogno di una mano, non rivolgetevi a chi ha sempre tempo da perdere. Chiedetela a chi ha già faticato più che a sufficienza. Forse brontolando, o di malavoglia, ma ve la darà).

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Poi, dando un forte grido, spirò. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,33-34.37.39). Quest’uomo (pagano) non ha incontrato Dio nell’imponenza sacrale del Tempio, ma nella debolezza e nell’impotenza di quel Crocifisso. Probabilmente non era il primo che vedeva morire: cosa c’era in lui di diverso? L’amore. Quell’amore che aveva trasformato il suo morire in dono della vita. Si può amare anche nella disfatta, anche nell’impotenza. E allora è l’amore a vincere, e con l’amore la vita.

Alla Pasqua di risurrezione si arriva solo così. Non ci sono scorciatoie. È questo l’itinerario che rende questa settimana diversa da tutte le altre. Cioè: santa.

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