Un “codice argento” per l’anziano

I dati fotografano una chiara tendenza verso l’aumento dell’accesso

L’esperienza di un anziano che deve attendere per ore al pronto soccorso è spesso davvero gravosa: sarebbe possibile pensare a corsie preferenziali come quelle per i minori? Ci sono esperienze a proposito?

Lettera firmata

Leggendo i dati relativi agli accessi in pronto soccorso (PS) delle persone ultraottantenni negli ultimi anni, si scopre che sono cresciuti quasi del 60% dal 2005, ovvero 100.000 accessi in più ogni anno. Anche i dati di Trento sono molto di indicativi per gli ultra settantacinquenni: nella nostra città dal 2010 al 2017 hanno richiesto prestazioni al PS più di 124.000 anziani di cui più di 32.800 (26%) sono stati poi ricoverati. L’anno scorso 3.645 ultra 75enni sono stati ricoverati: 600 ricoveri più del 2010. I dati fotografano quindi una chiara tendenza verso l’aumento.

Il fenomeno è da tenere nella massima considerazione, anche perché tale aumento supera di gran lunga il contemporaneo incremento dei cittadini di quella fascia di età. Alla base di questa discrepanza deve quindi esserci un qualche cambiamento legato alle malattie e alla organizzazione dei servizi sanitari. Grazie ai successi delle cure i grandi anziani ammalati sopravvivono sempre più a lungo come abbiamo sottolineato di recente in questa rubrica. Un’altra causa potrebbe essere la scarsa propensione delle famiglie ad affidarsi alla medicina del territorio (medico di base) in presenza di eventi acuti, o a causa della ridotta disponibilità del servizio, o perché essa non è ritenuta adeguata a gestire le delicate cure che devono essere offerte ad un anziano. Altri studi indicano che gli anziani si presentano in PS per mancanza di altri punti di riferimento a causa del reale stato di malattia ma anche per condizioni di precarietà di salute-stato funzionale e di solitudine. In alcuni casi si tratta di un ritorno in PS, se non vi è stata in precedenza una adeguata risposta medica.

Molti si augurano che la nuova prospettata organizzazione della medicina di famiglia cambi sia la realtà oggettiva del malato (con più tempo messo a disposizione degli ammalati, anche con visite a domicilio se necessarie), sia la percezione soggettiva degli utenti circa la capacità di gestione di casi complessi.

Al di là della problematica quantitativa, ovvero sul numero di accessi al PS, il lettore pone giustamente l’attenzione su un altro aspetto, ovvero il tempo di attesa del paziente anziano. Mi scrive a riguardo un medico del PS che ho interpellato: “Il problema della gestione del paziente anziano (annoverato quale componente “fragile” della nostra società) in ambito di PS rappresenta molte volte un impegno alquanto articolato. Già nella fase di accettazione e, ancora di più, durante la condotta clinica e la definizione degli esiti, i problemi dei singoli casi rischiano di pagare un tributo inspiegabile in termini di attesa. Anche con la migliore gestione, da parte del personale di PS, intravvedo come arduo il rispetto di percorsi fluidi, veloci e agevoli. Questo, primariamente per i sempre più consistenti carichi di attività del PS, le sempre più attese talora associata a pretese e ad aspettative di efficienza ed efficacia”.

Il pronto soccorso non deve trattare la persona molto anziana come tratta l’adulto o il giovane; infatti l’ultraottantenne è fragile dal punto di vista clinico, perché portatore di molte patologie contemporaneamente, ha spesso una compromissione più o meno grave dell’autosufficienza, talvolta è solo, vive con angoscia le incertezze legate alla sua sintomatologia e attende con ansia il responso dei medici, può avere una demenza, la quale complica il processo diagnostico ed i successivi trattamenti. Vi è il rischio che un’accoglienza inadeguata possa aggravare la condizione della persona ammalata (spesso molto compromessa al momento in cui accede al pronto soccorso). Da un lato si avrebbe bisogno di tempo per capire le problematiche multiple e la terapia in corso (non sempre ben documentata o riferita dal paziente) e dall’altra si avrebbe bisogno di agire rapidamente per evitare i rischi di complicazioni legate all’attesa, alla situazione ambientale (rumori, luce, mancanza di finestre, isolamento sociale) e tali da favorire lo stato di confusione.

Fortunatamente la problematica è al centro delle attenzione dei sanitari; da varie parti sono state suggerite procedure specifiche adatte all’anziano fragile, in particolare per abbreviare i tempi di attesa. Il Ministero ha sperimentato, ed è stato accolto anche da noi, un Codice Argento, ovvero un codice specifico, che segnali la presenza in pronto soccorso di un anziano fragile, in maniera tale da inserirlo nel triage abitualmente condotto in PS (Il triage viene utilizzato per ridurre al minimo possibile il ritardo nell’intervento e attribuire a tutti i pazienti un codice di priorità che gradui l’accesso alle cure in relazione alla loro potenziale gravità e urgenza).

Il Codice Argento è uno strumento di triage valido in differenti strutture sanitarie regionali (e dunque, generalizzabile) per identificare in PS gli ultra 75enni a maggior rischio. Nel sottogruppo degli anziani “a rischio”, la specificità dell’approccio geriatrico garantisce una significativa riduzione di mortalità a 12 mesi. Il manuale del nostro PS con la procedura triage prevede che venga assegnato ai pazienti “fragili”, compatibilmente con le priorità cliniche dei pazienti più critici presenti in Pronto Soccorso, il Codice Argento: a quel punto tutti gli operatori si attiveranno per rendere il percorso diagnostico/terapeutico del paziente il più rapido possibile, al fine di consentire una rapida dimissione dal Pronto Soccorso.

In attesa che tutto ciò venga adeguatamente implementato e diffuso nel sistema sanitario sottolineo le problematiche relative all’arrivo di un paziente con demenza in ospedale, che mi sembrano emblematiche della necessità di percorsi privilegiati a partire dal PS. Il suo arrivo diventa molto spesso “scomodo”. Le difficoltà comunicative e comportamentali possono rendere la sua valutazione difficile e superficiale. Lo stesso ambiente del PS, rumoroso ed affollato, comporta il rischio che i sintomi, compresi quelli comportamentali, si possano accentuare e che si arrivi al momento della visita con un malato ancora più confuso e agli occhi del medico o dell’infermiere ancora più incomprensibile. La crescente domanda di cura da parte della popolazione affetta da demenza, richiede il bisogno di persone preparate all’accoglienza, alla valutazione e alla pianificazione degli interventi “urgenti” per questi malati.

Pur essendovi molti importanti problemi organizzativi (come periodicamente testimoniato dalle immagini provenienti da alcuni PS italiani e proposte nei telegiornali), nessun vecchio dovrebbe essere preoccupato di entrare in PS sapendo che lì incontrerà sempre un personale sensibile, preparato e organizzato anche per gli ammalati complessi o con problematiche cognitive che hanno sempre più bisogno di risposte rapide e competenti.

vitaTrentina

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