Un futuro migliore? Non basta aspettarlo…

I lettura: Isaia 40,1-5.9-11;

II lettura: 2Pietro 3,8-14;

Vangelo: Marco 1,1-8

Anche chi guarda di rado la TV si sarà accorto che i films da cassetta hanno cambiato genere. Oggi tira molto il catastrofico, l’orripilante, la fantascienza dell’orrore. Non so se i registi si ispirano alla Bibbia nel realizzare questi films. Infatti, proprio nella seconda lettura di Domenica prossima sentiremo dire che “i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere sarà distrutta”. Ma accadranno davvero cose tanto terrificanti?

Le parole della Bibbia non sono state scritte per spaventarci, ma per illuminarci, per darci coraggio. Il fatto è che quei primi credenti erano così saturi di ingiustizie, di persecuzioni, di tribolazioni, che non vedevano l’ora che finissero. Non solo, erano dell’idea che Dio stesso non vedesse l’ora d’intervenire a cambiare le situazioni: l’aveva promesso, e quindi sarebbe stato di parola. Per annunciare la scomparsa di tutte le brutture si servivano di immagini molto fantasiose: cieli che si accartocciano, pianeti che si spaccano, la terra che si polverizza… Ma il loro interesse non era per la fantascienza (che non c’era ancora); ciò che a loro stava più a cuore erano i cieli nuovi e la terra nuova nei quali abita finalmente la giustizia. E’ questo che farà il Signore. E’ sua competenza.

L’Avvento è un tempo consolante e rasserenante, perché fa puntare lo sguardo su quel futuro buono che il Signore ha preparato per tutti. E quando verrà? Tutti i giorni preghiamo: Padre, venga il tuo regno! Ma viene davvero? Oppure preghiamo… preghiamo… senza che alla fine accada qualcosa? E cos’altro potremmo fare, del resto? Aspettare soltanto? No, è troppo poco.

Pregare è già fare molto, per la verità. Quando la preghiera è vera, ha l’effetto di una calamita, o meglio, di un corrosivo lento e silenzioso che un po’ alla volta fa saltare tutti gli ostacoli. Il muro di Berlino sarà crollato per segrete decisioni di vertice o per le folle di gente che da giorni pregava nelle chiese della città tenendo in mano candele accese? A Betlemme, le suore dell’Ospedale dei bambini (che sorge proprio a ridosso del muro che divide Israele e Palestina) si radunano ogni venerdì sera con altri cristiani e pellegrini, e pregano il Rosario camminando accanto a quel gelido manufatto; affermano: “Siamo sicuri che la preghiera un giorno o l’altro farà crollare anche questo muro…”. Beata ingenuità… o fede audace ed evangelica? Sì, è decisiva la preghiera per affrettare la venuta del Regno di Dio.

Ma non è tutto. Proprio in quella seconda lettura di domenica ci viene detto: “con le preghiere e con la vostra condotta, voi aspettate e affrettate la venuta dei cieli nuovi e della nuova terra…”. Sì, ora et labora, preghiera e operosità: tutte e due ci vogliono.

Allora, anziché lasciar libero sfogo ai dubbi, o fare dell’ironia su questo Regno di Dio che deve venire e non viene… ci si chieda piuttosto: ma noi, cosa facciamo perché venga? Crediamo nella potenza della preghiera per far cambiare in meglio le situazioni, oppure la riteniamo inutile passatempo di vecchie donnicciole che non sanno cos’altro fare?

E, oltre a pregare, facciamo quello che possiamo per favorire, per accelerare quel cambiamento?

“Quello che possiamo” è espressione neutra: può significare tutto e il contrario di tutto, cioè niente. Lasciamo al profeta (Isaia o Giovanni Battista) il compito di chiarirla. “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”: ecco il ritornello, la provocazione di ogni Avvento. Via da preparare e sentieri da raddrizzare sono espressioni volutamente simboliche, perché ciascuno le riempia di quella concretezza che ha a che vedere con le sue tipiche situazioni di vita. Sì, ognuno ha il suo modo di preparare quella strada, di raddrizzare quei sentieri. Non si creda, in ogni caso, di poterla preparare solo o sempre aprendo il portafoglio: no, è il cuore anzitutto che occorre aprire (il portafoglio si fa presto ad aprirlo, specialmente se è vuoto… o troppo pieno). Aprire il cuore è più difficile, più faticoso.

Aprire il cuore, cioè non solo la bocca per fare la Comunione, ma fare spazio a Dio lì al centro della vita… Aprire il cuore, cioè comprendere, passar sopra a un’offesa senza legarsela al dito, perdonare… Aprire il cuore per farsi almeno una pallida idea del dolore di chi soffre, per assaporare – se pure in minima parte – l’amaro della miseria dei poveri, invece che quello dei propri affanni, delle proprie preoccupazioni soltanto. Eh sì, è più difficile. Costa fatica. Ma è certo che solo in tal modo si prepara la via del Signore. Chi ha mai detto, peraltro, che l’aprire strade e il raddrizzare sentieri a “fatica di braccia” sia nient’altro che un passatempo distensivo?

Insomma, sì: noi crediamo che questo mondo cambierà in meglio, che il Regno di Dio verrà, ma sappiamo anche che possiamo accelerare quella venuta, quel cambiamento, con la nostra preghiera e con la nostra operosità. E allora, se possiamo farlo, facciamolo: non perdiamo questa stupenda occasione.

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