Un mondo più umano

1 Sam 26, 2.7-9.12-13. 22-23;

Sal 102;

1 Cor 15,45-49;

Lc 6, 27-38

Spesso pensiamo: quello non mi capisce, quell’altro mi è nemico… Ho mai pensato che potrei essere io per primo a non capire, a essere nemico dell’altro?

Oggi forse senza accorgercene consideriamo nemico chi vive diversamente da noi, che non conosciamo personalmente ma ugualmente respingiamo. So andare oltre il sentito dire? So «perdere tempo» per cogliere il senso del suo esserci e andare oltre i pregiudizi?

«Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male». Sono parole che suonano estranee al sentire comune, ma che invitano a cogliere la vera differenza che c’è tra il cristiano e il mondo. Lo aveva capito bene don Lorenzo Milani che nella scuola di Barbiana aveva come parola d’ordine «I care», cioè «mi sta a cuore», espressione che rivela uno stato d’animo capace di tenerezza, sincerità di rapporti, condivisione, da contrapporre al «me ne frego» della propaganda fascista Mi sta a cuore e dunque mi preoccupo di chi mi è familiare e di chi mi è, per così dire, estraneo, ma fa parte della unica «famiglia umana». Mi interessa di ogni donna e di ogni uomo, perché insieme con tutti posso far crescere la società e il Regno di Dio. Regno che ha le sue radici nel mondo, in mezzo a noi. Il discepolo di Gesù, quello che prende sul serio la sua Parola, lo sa e dunque si fa carico anche delle parole difficili di quello che è il suo Maestro.

In tutta la tradizione biblica ci sono due aspetti che non si possono dimenticare: la conversione individuale e il mutamento sociale. È certo che l’essenziale è cambiare il cuore, convertirsi interiormente, ma un convertito deve ripudiare una proiezione sociale antievangelica. «Amate i vostri nemici» non è semplicemente un invito, una pia esortazione a non fare male a nessuno è invito a costruire un mondo più umano. Amare qui vuole probabilmente indicare il comportamento di Dio «benevolo verso gli ingrati e i cattivi». È un che Dio non chiede reciprocità; non dice che il bene va fatto a chi in qualche modo ce lo può restituire, e nemmeno ci dice che dobbiamo amare un «lontano» dal nostro modo di pensare o dalla nostra religione, perché si avvicini. «Lo si ama perché si vuole prolungare fino a lui la benevolenza di Dio» (B. Maggioni). Luca ci vuol far comprendere l’importanza, anzi la necessità di sentirsi responsabili degli altri senza attendersi niente. Spesso si sente dire che abbiamo bisogno di reciprocità, di fare qualcosa a chi poi ci restituisce qualcosa. Non è nei piani di Gesù: «Se amate quelli che vi amano… E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatore fanno lo stesso» (Lc 6,32 s). In fondo «la reciprocità non è affar mio, riguarda l’altro»!

C’è anche un altro aspetto di questo Vangelo che ci deve far riflettere: viviamo in una società che è costruita e continua a costruirsi sulla legge ferrea della competitività, dove inevitabilmente gli uomini si trovano contrapposti gli uni agli altri, diventano concorrenti e non raramente nemici. Il brano evangelico che viene proclamato in questa settima domenica, contesta alla radice questa logica: a Gesù manca una categoria fondamentale per molti, ossia l’idea della vittoria sugli altri a tutti i costi. Gesù agli altri si dona, diventa lievito di una nuova fraternità. E un’ultima nota mi pare importante: il nemico apre uno spazio di conoscenza di noi stessi. È un risvolto così decisivo che ci fa capire perché spesso chiudiamo il rapporto con l’altro perché tanto lì non c’è niente da fare…. Enzo Bianchi dice che nel quotidiano il nemico può essere il nostro grande maestro perché ci svela la qualità del nostro cuore…. Può renderci coscienti dei sentimenti tenebrosi che ci abitano. Gesù di Nazareth ci fa capire che il perdono è un sentiero, una strada su cui camminare con fatica, ma senza scoraggiarsi, perché «se anche il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20).

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