Un “ritorno a casa” che ci riguarda tutti

Matt Damon è Steve Butler in “Promised Land”

Quaresima (1) CENERE

…quel fienile, il fienile di mio nonno,
era il tormento della mia esistenza.
Era sempre immacolato perché lo dipingevamo un’estate sì e una no. Io e lui da soli.
Gli chiedevo: perché dobbiamo farlo?
E lui mi guardava e diceva:
è il nostro fienile, chi altro lo può fare?

 

Sembra un uomo tutto d’un pezzo, Steve Butler, che ha fatto consapevolmente e razionalmente la sua scelta: l’agricoltura non ha futuro; da sola, senza l’industria, economicamente non regge. Lo ha visto con i suoi occhi a Eldridge (Iowa) dove viveva col nonno agricoltore, quando la chiusura di un impianto della Caterpillar ha fatto crollare anche il sogno rurale. Conclusione: lui non vende gas naturale ai contadini, gli vende l’unica speranza di rimettersi in piedi. E se non hai altro da vendere, ti vendi la terra che hai sotto i piedi anche se questo può comportare l’inquinamento della falda freatica e dunque la morte di un territorio. Ma questo non lo può dire nessuno a priori. Certo, se capita è un bel guaio, ma intanto hai preso un bel po’ di soldi e puoi scappare da un’altra parte a ricominciare.
Sembra sicuro Steve ed è anche convincente – ha il più alto rendimento nella stipulazione dei contratti e al prezzo più basso – e la Compagnia di gas naturale per la quale lavora sta per promuoverlo ‘vicepresidente gestione territorio’.
Però, Steve indossa i vecchi e malandati scarponi di suo nonno agricoltore – quello con cui ha litigato di brutto quando ha scelto di non fare agricoltura all’università, l’unico insieme ad un compagno su tutta la classe – e rifiuta di cambiarli nonostante le pressioni e i ripetuti sfottò della collega Sue con cui fa squadra…
Inizia così Promised Land, il film diretto da Gus Van Sant su sceneggiatura di John Krasinski e Matt Damon che interpretano anche i ruoli di antagonista e protagonista. Alla sua uscita, il film non ha ottenuto un grande successo di critica, fors’anche perché avversato dalla lobby petrolifera, ma presenta un intenso percorso di trasformazione personale (e comunitario), e un “ritorno a casa” che ci riguarda tutti.
Steve Butler si crede fondamentalmente un brav’uomo o, almeno, ‘non cattivo’.
Però dentro di sé è diviso, la sua testa sta da una parte, il suo cuore da un’altra. Naturalmente non lo sa e mente, di sistema. Lo fa per convincere gli altri a vendere, per tenere i prezzi bassi, per fare carriera nella Società da 90 miliardi di dollari per cui lavora. E non batte ciglio se un amministratore gli chiede una bustarella per convincere i suoi cittadini ad accordare fiducia a lui e alla Global che rappresenta. Non batte ciglio se nel farlo questo amministratore afferma il dovere di tutelare la salute dei propri cittadini e gli chiede di pagarlo per contravvenire a questo dovere. Si limita a portare la posta al livello più basso e vantaggioso per lui. Mentendo anche qui.
La menzogna è ormai un habitus. Anche letteralmente: Steve veste abiti comprati sul posto per apparire come un locale e accattivarsi la fiducia degli abitanti.
Ma ecco che nella nuova sfida che ha davanti e che si annuncia come le altre – una vittoria in partenza, coronata a sera dalla conferma della promozione – qualcosa comincia ad andare storto.
Il primo agricoltore che incontra, smaschera il suo travestimento e apprezza invece gli scarponi.
Un segnale di poco conto, ma all’assemblea comunale il vecchio professore di scienze del liceo smaschera sia i pericoli dell’opera di trivellazione tramite “fracking”, sia la menzogna di Steve sul valore del giacimento. Ora la fiducia è scossa: quella della comunità rurale che si prende tre settimane per decidere, e quella della Compagnia che, all’insaputa dei suoi agenti, invia un falso ambientalista per combattere la sfiducia con una sfiducia maggiore.
Steve cerca ancora di puntellare il suo sistema accalappia-fiducia con l’allestimento di una festa campestre, ma il tempo atmosferico gliela smonta. Gli manca ancora di scoprire la manipolazione operata dalla Compagnia alle sue spalle e ai danni della comunità, e la misura sarà colma.
Ora Steve Butler (nomen est omen) non può più mentire a se stesso, deve scegliere: il suo cuore o il denaro. Nessun servitore può servire due padroni… Non potete servire a Dio e a mammona.
Nella foto usata in modo falsificatorio dalla Compagnia, riconosce una cosa del suo passato, il fienile della fattoria. Questo ha il legno marcito e la vernice scrostata, quello di suo nonno era immacolato perché ogni due anni loro due lo ridipingevano. Allora non riusciva a darsi una ragione di questo sforzo (io pensavo che fosse pazzo, orgoglioso e testardo), ora comprende che il nonno voleva solo insegnargli ad avere cura di qualcosa.
E Steve, di fronte alla comunità riunita per decidere, ammette di non avere risposte certe e fa la sua scelta: Il punto è dove siamo ora, dove stiamo andando; forse ci giochiamo più di quanto crediamo: tutto quello che abbiamo ora è sul tavolo, e noi non siamo abituati a perdere. Ma questo è ancora il nostro fienile.
Prendersi cura e custodire la dignità è l’impegno del vecchio Frank, già ingegnere minerario e ora prof per passione. Prendersi cura è quello che insegna Alice ai suoi scolari, ora che è tornata a vivere in campagna dalla città per non alienare la proprietà che è della sua famiglia da generazioni (non volevo essere io quella che si arrende). E il cuore di Steve va verso questa donna.
Le note di Ash and clay (cenere e argilla) dei Milk Carton Kids raccolgono e siglano il senso di questo percorso di riunificazione interiore, che centra il punto socio-economico-culturale in cui ci troviamo a livello globale. Qui è una bambina che vende limonata ‘buonissima’ a 25 cent, fuori dalla palestra, a fare da specchio a Steve mentre compie la sua scelta; a livello mondiale è una ragazzina con le trecce che si è fatta carico del problema che adulti e potenti non vogliono guardare in faccia.

vitaTrentina

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