Una sola comunità

Quella delle vocazioni è una delle questioni più importanti per la comunità ecclesiale. I sacerdoti sono sempre di meno

La scorsa settimana sono stati resi noti i cambiamenti voluti dall’arcivescovo Bressan in seno al clero trentino: spostamento di parroci, assegnazione di compiti specifici, modifica degli uffici curiali e così via. Non credo che si tratti di una girandola di nomi, ma della vita stessa della Chiesa alla quale tutti i battezzati appartengono. Mi sento di fare gli auguri a questi sacerdoti, giovani e anziani, e, per quanto conta, vorrei far sentire loro la mia vicinanza, quella di un laico che ha bisogno di preti motivati, capaci ma soprattutto misericordiosi, uomini di Dio che sanno parlare di fede e sanno testimoniare la buona notizia della salvezza di Cristo.

In particolare mi ha colpito la nomina di don Tiziano Telch a nuovo rettore del seminario. Ovviamente non conosco le motivazioni che hanno portato l’arcivescovo a questa scelta, mi sembra però molto bello che in questo delicatissimo servizio pastorale sia stato messo un sacerdote giovane. Di per sé l’età non conta nulla, lo sappiamo benissimo, anche se oggi va molto di moda il rinnovamento generazionale. Tuttavia è altrettanto evidente che la Chiesa ha bisogno di una ventata nuova: la sta dando Papa Francesco, che di anni ne ha quasi 80, ma di norma dovrebbero essere i giovani a prendere in mano le redini del futuro.

Quella delle vocazioni è una delle questioni più importanti per la comunità ecclesiale. I sacerdoti sono sempre di meno, i conventi si svuotano (anzi si sono già svuotati), enormi edifici con suntuosi giardini un tempo popolati da suore o religiosi ora sono ristrutturati come alberghi. Non parliamo del diradamento della presenza di preti nel nostro territorio, una penuria drammatica soprattutto nelle valli. Si cerca di correre ai ripari. La struttura organizzativa va certo ripensata, ma è tutta un’idea di Chiesa a essere messa in discussione. Si potrebbero aspettare semplicemente tempi migliori, qualcuno propone addirittura di “importare” sacerdoti dal sud del mondo dove le vocazioni pullulano, a volte per superare la propria condizione di miseria. Con buona probabilità finirà così, come avviene per la denatalità cronica paese: se gli italiani non fanno più figli, altri verranno a popolare la penisola.

Ci sono pure segnali positivi. Alcuni ordini secolari resistono, alcuni nuovi movimenti riescono ad attrarre giovani pronti a donarsi completamente a Dio. È la struttura diocesana a languire in maniera preoccupante. Bisognerebbe ripensare forse la concezione stessa del seminario che ancora oggi risulta essere troppo simile a quella uscita dal Concilio di Trento: sarebbe necessario trasformare le materie di studio (non si può pretendere che tutti siano filosofi, teologi, storici e che sappiano il greco e l’ebraico), rendere il seminario sempre più comunità e sempre meno Università, aprire porte e finestre. Da tempo si sta andando in questa direzione sulla quale credo si camminerà anche in futuro. Chi intraprende questa strada sa benissimo che la sua vocazione è difficile e entusiasmante allo stesso tempo, come lo è la via della sequela di Cristo. Prima che di teologi e di filosofi – per quello basterebbero i laici – abbiamo bisogno di veri discepoli di Gesù. Non è possibile dunque pretendere di avere i seminari pieni come una volta, quando diventare sacerdote significa pure avere cultura autorità prestigio sociale, ma pregare e lavorare affinché buoni operai siano mandati alla vigna del Signore.

Si attendono cambiamenti radicali. Anche e soprattutto da parte della comunità cristiana che vive nelle parrocchie. La parrocchia e il seminario sembrano due entità completamente separate. Così come i fedeli e il clero. Non basta celebrare ogni anno la giornata del seminario, quando sappiamo troppo di quello che si muove in quel palazzo troppo grande e troppo lontano anche se si trova nel cuore della città. Purtroppo i cristiani faticano ad essere comunità. Non ci sono formule magiche, ma sicuramente possediamo tutti un “manuale di istruzioni” infallibile, il Vangelo.

Ho già scritto che siamo abituati a volere tutto dai preti (e dai seminaristi) salvo poi non prenderci le nostre responsabilità di laici. Nei prossimi anni, con le buone o con le cattive, la Chiesa dovrà imparare a essere veramente comunità. Ognuno di noi saprà mettersi in gioco?

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