Un’insolita alleanza che supera le differenze

Col nome di navi nere, kurofune, i giapponesi chiamavano le navi occidentali che tra il XV e il XIX secolo attraccavano alle coste del loro Paese. Nere sia per il colore con cui erano dipinte, sia per il fumo dei loro motori a vapore. Kurofune è anche il termine con il quale, per antonomasia, si indicano le quattro navi da guerra statunitensi che l’8 luglio 1853 si ancorarono nel porto di Uraga all’imboccatura della baia di Tokyo segnando, la fine dell’autoisolamento del paese e la sua apertura agli stranieri e al commercio con l’estero. Sulla Mississipi, una di queste quattro navi, è arrivato in Giappone anche Tiago Barreto, un quindicenne portoghese di Madeira che si è imbarcato per spirito di avventura, ma, soprattutto, per sottrarsi al padre-padrone e alla sua vita da lui dominata. Tiago è il protagonista di “Kurofune” (Il Castoro – età +12) e al sua storia si intreccia a quella di Kentaro, giovane giapponese che lo fa prigioniero per dimostrare a suo padre di essere un vero samurai. In Giappone a quei tempi, infatti, vigeva la legge dello Shōgun che vietava agli occidentali di mettervi piede. Tiago, quindi, portoghese e cristiano, in fuga dalla sua nave perché accusato di omicidio, non è che un barbaro da eliminare. Tornando con il suo prigioniero, Kentaro trova che un clan antagonista ha raso al suolo la sua casa, ucciso i suoi genitori e rapito sua sorella Sakura. Kentaro e Tiago, uniti da un’insolita alleanza, partono insieme per cercare Sakura e raggiungere la piccola isola di Dejima, dove si trova l’unica comunità europea dell’intero Giappone, dove Tiago può essere aiutato. I due ragazzi iniziano un lungo e avventuroso viaggio via terra e via mare durante il quale incontrano numerose sfide e nemici da affrontare, ma anche (pochi) amici che li aiutano. Questa forte esperienza trasforma le differenze fra di loro in comprensione, solidarietà e amicizia.

Collocandolo sullo sfondo storico, attentamente studiato e raccontato, del Giappone di fine ‘800, Marta Palazzesi offre un tipico romanzo di avventura basato su un viaggio pieno di pericoli, colpi di scena, imprevisti, combattimenti e rocambolesche soluzioni. Un romanzo che parla di onestà, di rispetto per la famiglia e per le tradizioni, di amicizia e di libertà. Tra le righe anche il superamento di stereotipi culturali e di genere oltre che la consapevolezza dell’importanza delle differenze. La prosa di Marta Palazzesi è curata, attenta e scorrevole.

Non banalizza ciò che racconta, livellando il linguaggio verso il basso, ma tiene alto il tono dell’italiano anche nei passaggi più complicati: il risultato è un giusto equilibrio tra semplicità e complessità, con buona gestione dei diversi nomi e termini giapponesi che possono, in qualche punto, disorientare il lettore, ma che comunque hanno tra le pagine tutti i riferimenti necessari per comprenderli. Una lettura interessante e avvincente come “Nebbia” e “Mustang”, gli altri due romanzi su base storica scritti da Marta Palazzesi e consigliati ai lettori dai 12 anni.

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