Documento di economia e finanza 2022: rischi e incertezze, ma anche respiri di sollievo

Impianto eolico

Il Documento di economia e finanza (DEF) per il 2022 è un mastodontico elaborato di 590 pagine, infarcito di tabelle e grafici, con cui il Governo italiano illustra le linee di politica economica e di bilancio. Varato dal Consiglio dei Ministri il 6 aprile, il documento è stato oggetto di esame parlamentare, concluso il 20 aprile con l’approvazione di identiche risoluzioni da parte delle due Camere.

Il DEF si compone di tre sezioni: la prima traccia gli indirizzi per il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita europeo (PSC); la seconda analizza le tendenze della finanza pubblica; la terza illustra il Programma nazionale di riforma. Benché il concentrato di tecnicismi (la «Nota metodologica» occupa 55 pagine) possa risultare ostico, il documento è una miniera di informazioni su temi nevralgici.

Le previsioni macroeconomiche, secondo il Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, «si fondano su uno scenario in cui l’economia rallenta fortemente, ma registra comunque una crescita annua significativa». Ciò anche in forza delle misure varate dal Governo, come il contenimento dei costi energetici e il sostegno a imprese, industrie dell’auto e dei semiconduttori, enti locali e sanità. Grazie anche al PNRR – annota il Ministro – «per gli investimenti pubblici sono stati stanziati fondi per oltre 320 miliardi».

È ovvio tuttavia che in un contesto di rischio pandemico, bellico e inflattivo l’incertezza la fa da padrona. Il DEF prevede una crescita del PIL reale al 3,1% nel 2022 e al 2,4% nel 2023, con «positivi riflessi sull’occupazione». Stima che appare ottimistica, stando alle previsioni più recenti, ma il Governo è comunque pronto «a intervenire con la massima decisione e rapidità a sostegno delle famiglie e delle imprese».

Tutto il documento dà il senso di una situazione sotto controllo. La finanza pubblica – a cui è dedicata la II sezione – si giova di un rapporto deficit/PIL per il 2022 migliore del previsto di mezzo punto (5,1 anziché 5,6%): un piccolo respiro di sollievo. «Il rapporto debito/PIL scenderà dal 150,8% del 2021 fino al 141,4% nel 2025» – sentenzia il Ministro. Speriamo.

La strada è ancora lunga, visto che con l’attuale PSC gli Stati membri devono garantire un rapporto debito/PIL non superiore al 60% e ridurre l’eccesso di 1/20 all’anno! Fortunatamente, il 2 marzo la Commissione UE ha comunicato che l’aggiustamento di bilancio negli Stati ad alto debito dovrebbe essere graduale, non troppo restrittivo e «sostenuto da investimenti e riforme strutturali che rilanciano il potenziale di crescita dell’economia». Proprio quanto sostenuto da Francia e Italia (vedi Vita Trentina, 10 aprile 2022).

Da non perdere il box sulla spesa pensionistica, secondo cui «la minore incidenza della spesa in rapporto al PIL derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004 ammonta a circa 60 punti percentuali di PIL al 2060». Sessanta punti: difficile rinunciarvi, malgrado i richiami del populismo.

La III sezione del DEF offre infine un interessante aggiornamento sui temi «caldi» di riforma: transizione energetica, giustizia, pubblica amministrazione, appalti, concorrenza, fisco, e altro.

Ne riparleremo, salvo una chicca: il primo nell’elenco dei disegni di legge collegati alla manovra di bilancio riguarda «l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art. 116, comma 3, Cost.»: sembrava un tema sopito, invece è ancora in bella evidenza, segno che il regionalismo italiano è ancora pulsante. Un altro respiro di sollievo.

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