Utero in affitto?

Nella agonia della Siria in cui alcuni bombardano tutti e tutti bombardano almeno qualcuno, nella fuga senza meta di miriadi di profughi respinti da muri senza sbocco eretti da quasi ex schengheniani, negli appassionati appelli di papa Francesco a smetterla con questa terza guerra mondiale a pezzettini, con questo far a pezzettini l’ecologia, con un mondo di pochi che si prendono il pezzo più grande, nel pregevole duello politico sul “tu non dai una cosa a me così io non do una cosa a te”, nel sottile e difficile dibattito su coppie adottive tutto mamme senza papà o tutto papà senza mamme, mentre la Cincinnà piange, politicamente tradita, e Maria Elena Boschi esperimenta che di papà, in certi momenti, può esser troppo anche averne uno solo, mentre PD, 5Stelle e Alfano vedono 5000 stelle e altrettanti sorci verdi, sembra emergere una concordanza interessante ed inaspettata. Da molti vista come un’impennata di umanità nel rispetto alla donna, di nuovo femminismo, di resistenza all’1% di padroni del mondo, di incontro tra la sensibilità sociale e del soggetto della sinistra e l’attenzione alla persona della posizione sociale cristiana.

Si tratta della ribellione al brutalmente detto “utero in affitto”. Affitto: “locazione a tempo determinato e dietro pagamento di un locale”. In questo caso il locale è l’utero. L’utero di “centinaia di madri che ogni anno negli USA e in Canada, decidono di portare avanti una gravidanza per conto terzi. Si fanno chiamare mamme-cicogna o mamme di pancia. Sono donne quasi sempre sposate che hanno ricevuto il dono, sempre meno comune, della fertilità e di gravidanze senza complicazioni. Donne spesso cresciute in famiglie allargate o spezzate, che hanno esperimentato sulla propria pelle la differenza tra la maternità naturale e maternità affettiva e che magari hanno asciugato le lacrime di amiche e sorelle che volevano una famiglia e non riuscivano ad averla. Non sono donne benestanti nell’America dei Bill Gates e dei banchieri ultra-milionari di Wall Street: il loro reddito talvolta copre a fatica le spese di un asilo nido. Ma non sono nemmeno disperate. C’è chi ha una laurea in materie umanistiche o sociali; chi è insegnante o infermiera oppure operatrice nel sociale. Tutte abituate da sempre a stare in mezzo ai bambini, ai problemi quotidiani, alla fatica di crescere e amare in un mondo in cui la famiglia Mulino Bianco è un lusso per pochi” (Federica Bianchi, “Perché ho dato un figlio a un’altra”, L’Espresso, 22 febbraio 2016).

Questa una visione, pragmaticamente benevola, dal Nuovo Mondo. Ma qual è la lettura maggioritaria della nostra vecchia Europa e la realtà sociale a livello mondiale?

Sylviane Agacinski, socialista, una delle protagoniste del nuovo femminismo, si batte in campo filosofico e parlamentare per l’abolizione della maternità surrogata. Intervistata da Avvenire osserva: “Si comincia a comprendere la violenza che rappresenta, per le donne, l’ingresso della maternità su questo mercato. Le cose si sono mosse in Francia negli ultimi anni,soprattutto a sinistra. Il Partito Socialista ha condannato questa pratica a partire dal 2010. Il Presidente della Repubblica Francois Hollande ed il premier Manuel Valls hanno escluso qualsiasi legalizzazione della maternità surrogata in Francia. (…) Per di più l’uso delle donne come madri surrogate poggia su relazioni economiche sempre diseguali: i clienti che appartengono alle classi sociali più agiate e ai paesi più ricchi, comprano servizi delle popolazioni più povere su un mercato neocolonialista”.

Marco Politi cita un passaggio significativo della Carta di Parigi: “Lungi dall’essere un gesto individuale, questa pratica sociale è realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana, in un sistema organizzato di produzione che comprende cliniche,medici, avvocati, agenzie, ecc. Questo sistema ha bisogno di donne, come mezzi di produzione in modo che la gravidanza e il parto diventino delle procedure funzionali dotate di un valore d’uso e di un valore di scambio e si iscrivano nella cornice dei mercati che hanno per oggetto il corpo umano”. A questo punto lo stesso Marco Politi osserva: “E’ singolare che venga prestata così poca attenzione ai contratti che formalizzano questa pratica. Contratti che impongono alla donna ingaggiata di abortire se si presentano difficoltà nella formazione del feto e che autorizzano i ‘committenti’ a rifiutare un bambino nato con anomalie. In altre parole di rifiutare il prodotto”.

E’ ancora possibile parlare soltanto di utero e di affitto o dobbiamo riconoscere onestamente che siamo entrati nel campo della compravendita e della persona?

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