“Vado a prepararvi un posto”

At 6,1-7;

Sal 32;

1 Pt2,4-9;

Gv 14,1-12

Quando ci sediamo a tavola, per consumare un pasto con i familiari o gli amici, ci sentiamo noi stessi e condividiamo insieme al pane anche i nostri sentimenti, le nostre attese, persino le nostre afflizioni.

Il brano evangelico di questa quinta domenica di Pasqua ci presenta una sequenza del discorso di addio che Gesù rivolge ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena.

Mentre Giuda, ormai lontano dal cenacolo, sta vagando nella notte, Gesù, dopo aver consegnato loro il comandamento nuovo dell’amore, dice: «Non sia turbato il vostro cuore… Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore… Vado a prepararvi un posto».

Il Signore intuisce che il loro cuore è in subbuglio, è oppresso da sentimenti di profondo smarrimento. Gli Undici si sentono paralizzati dalla paura, come se fossero in balia di un mare in tempesta, di onde assassine: sta per scoccare l’ora della passione, che sconvolgerà la loro esistenza, facendo crollare ogni speranza. La loro vita sta per essere scossa da quel vortice drammatico di umiliazioni e di sofferenze, che si abbatterà sul loro Maestro; la loro amicizia sarà messa a dura prova:quando “il potere delle tenebre” (Lc 22,53) avrà il sopravvento, rimarranno scandalizzati e si disperderanno (cfr: Mc 14,27).

Gesù svela loro – oggi anche a noi – qual è il punto di arrivo di ogni percorso di fede, la meta di ogni umana attesa: avere una dimora presso Dio, una casa in paradiso.

Chi di noi non ha mai avuto nostalgia di casa? Quando dobbiamo assentarci per un certo tempo, si fa strada nel nostro cuore un sentimento struggente, che ci sollecita a tornare; un pensiero ricorrente, riempito di volti amati, di spazi familiari, di profumi inconfondibili, di quel microcosmo, in cui ci troviamo a nostro agio. Solo a casa possiamo dire di stare bene, perché lì condividiamo tutto con chi amiamo, sappiamo di essere accolti, ci sentiamo al sicuro.

Il nostro traguardo è dunque il cielo, dove ogni nostra aspirazione profonda sarà pienamente appagata. Nel succedersi dei nostri giorni ci sentiamo come dei mendicanti, che tendono la mano in attesa che qualcuno lasci qualche spicciolo di comprensione e di tenerezza; sentiamo il bisogno di aprire il cuore e chiedere a chi condivide i nostri passi di riempirlo di battiti d’amore; sconfitti dalle nostre fragilità, spesso cadiamo e, umiliati, eleviamo lo sguardo triste alla ricerca di occhi che ci rassicurino e di mani possenti, che ci rimettano in piedi. Siamo viandanti alla continua ricerca di una meta; nomadi bisognosi di trovare una terra dove affondare le nostre radici.

Gesù ci ricorda che la nostra dimora è altrove, non è imprigionata in un luogo, non può essere limitata nel tempo, ma si espande in una dimensione che tutto accoglie, si tratta del cuore di Dio. In quel cuore il Signore ci prepara un posto, lì ci sentiremo finalmente a casa, tutto ci apparirà familiare: ritroveremo le persone che abbiamo amato, con loro e insieme a tutta l’umanità redenta assaporeremo in modo appagante la pienezza dell’Amore.

«Signore, come possiamo conoscere la via?» chiede Tommaso. Parafrasando, potremmo dire: «Come possiamo raggiungere questo porto sicuro, come arrivare a casa, a questa totalità di vita?».

La sua risposta è solenne: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

Gesù è la via, che ci porta al Padre. Noi, suoi discepoli, siamo in cammino dietro a Lui sui percorsi scoscesi dei tanti “calvari” umani;siamo “quelli della via” sulla “strada di Emmaus” (cfr: Lc 24,13-35) con il Signore al nostro fianco, mentre dialoga con noi, proponendoci la sua Buona Notizia, che infiamma i nostri cuori con il fuoco del suo amore e ci invia ad annunciare la sua presenza e a lavorare nel cantiere del suo Regno.

Il Signore è la verità, che ci rivela il volto del Padre. «Chi ha visto me, ha visto il Padre» risponderà a Filippo, che chiedeva di conoscere il Padre. Egli ci consegna la visione autentica di Dio: testimonia la sua libertà da ogni tentativo di imprigionarlo nelle nostre anguste concezioni religiose. Con tutta la sua vita Gesù ha svelato la bellezza di Dio, strappandolo dagli artigli di coloro che volevano deturpare il suo volto misericordioso, sfigurandolo con l’acido di leggi assurde e di divieti avvilenti.

Cristo è la vita, Vita divina che si fa umana, per ricondurci al Padre. Con la sua Pasqua il Signore ha davvero vinto la morte e ha impresso in noi il sigillo dell’eternità, di quel compimento della nostra esistenza, che sperimenteremo pienamente quando “troveremo casa” nel cuore di Dio.

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