Wenders, il vampiro innamorato

Wim Wenders è facile a innamorarsi e il suo innamoramento fa nascere sempre straordinari film. Il suo gusto estetico si accende quando s’imbatte in un’opera o artista che lo colpiscono e forse destano in lui la segreta invidia, di chi vorrebbe esplorare, capire, imitare il talento e la vampa creativa che gli balzano agli occhi. Così accadde con venerandi e ammirati registi come Nicholas Ray (Lampi sull’acqua, 1979) e Yasujiro Ozu (Tokyo Ga, 1985), con Ry Cooder e la musica cubana (Buena vista social club, 1999) e più di recente con la coreografa ballerina Pina Bausch (Pina, 2011). L’incontro con ciascuno di loro è per Wenders un mettersi in gioco ponendo instancabilmente domande, rappresentandone e filmandone la bellezza e forse, in segreto, vampirescamente appropriandosene con ciò che dà vita a un film documentario.

L’incontro, l’amicizia e l’“innamoramento” ha ora legato Wenders, il quale è anche un appassionato fotografo, al brasiliano Sebastião Salgado, il quale, dopo una formazione come economista e statistico, in seguito a una missione in Africa, è diventato a partire dagli anni Settanta uno straordinario fotografo, in grado di inquadrare, in maniera folgorante e con il bianco e nero, l’urgenza di salvaguardare un pianeta lussureggiante, maestoso eppure devastato, e la dignità silenziosa di lavoratori immigrati, rifugiati in campi di accoglienza in America Latina o in altri luoghi. Significativi, per questi temi centrali, alcuni titoli da Salgado prescelti per le mostre e pubblicazioni fotografiche che lo hanno reso famoso: The Children of Exodus (“I figli dell’Esodo”) e Genesi (esposta fino a poco fa al Palazzo della Ragione di Milano).

Rispetto ai precedenti film citati del regista tedesco, però, ne Il sale della terra la voglia di scoprire, di avvicinarsi e comporre con la macchina da presa, sono meno solitari. Wenders non opera da solo perché si serve di Juliano Ribeiro Salgado, il figlio del fotografo brasiliano che prima di lui, in molte occasioni, aveva filmato il padre al lavoro raccogliendo così una gran quantità di materiale. Wenders se ne appropria volentieri riconoscendone l’importanza, facendo apparire ufficialmente al suo fianco il nome di Juliano Ribeiro come co-regista del film e raccontando, per documentare, tante storie e vicende della vita familiare: il desiderio di Juliano di rincorrere ovunque un padre irriducibile viandante, la cui distanza lo ha fatto soffrire e a lungo desiderare di conoscerlo meglio, d’inseguirlo e spiarlo con la macchina da presa; l’altro figlio, affetto dalla sindrome di Down, e la moglie Lelia, così importante per Salgado, lei che aveva saputo aiutarlo a superare la depressione, la perdita del gusto di fotografare l’umanità, nata in lui dopo aver accompagnato molte vittime del genocidio in Ruanda.

Pazientemente, attraverso i dialoghi approfonditi, la cura per portare allo schermo la potenza delle fotografie, lo sbirciare l’emozione di Salgado da solo in silenzio davanti alle sue opere, Il sale della terra riesce non tanto a valorizzare ed esprimere un gusto estetico, ma la dignità e l’amore verso un’umanità ferita, che si animano nello scatto fotografico così realizzato.

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