Attorno all’otto marzo, tre verbi da declinare

Per certi versi il tema sembra essere stato in qualche misura sdoganato, nel nostro mondo almeno: l’immagine della donna come un essere passivo e dipendente non appartiene più al pensiero corrente e trova molte smentite nella testimonianza di donne capaci di prendere l’iniziativa, di tentare mete ambiziose, di inseguire i propri desideri con capacità e forza di carattere.

Abbiamo in mente volti e storie: in ambito scientifico, nelle istituzioni, nella ricerca e nell’università, nel giornalismo, nel volontariato, nella difesa del pianeta. Certo nel mondo disparità e discriminazioni persistono, lontano da noi ma anche dentro casa nostra, evidenti e insuperate. E violenze, ancora troppe. Ma il recupero di spazi propri, il riconoscimento di una pari dignità, il diritto di far sentire la propria voce è un dato emergente: la strada è aperta.

E allora che valore dare ancora oggi ad un giorno “dedicato”? Forse perché la storia delle donne, fatta di fatiche e di ferite (per molte donne ancora attuali), ha la forza di riproporre il grande tema del “mettersi in relazione”: il femminile è questione che porta inevitabilmente con sé il maschile e ci pone tutti quanti di fronte all’interrogativo circa la possibilità e l’urgenza di riscoprire relazioni autentiche, forti, rispettose, capaci di costruirci vicendevolmente. Né l’uomo né la donna possono trovare se stessi e la loro identità nella solitudine: ogni essere umano è fatto per la relazione, siamo diversi per poterci arricchire di ciò che solo l’altro può donare, per poter cambiare e diventare migliori nell’incontro con il vissuto altrui.

Nessuno stereotipo, nessun primato dell’uno sull’altra reggono a questo parametro: uomo e donna sono parte di una comune umanità, ricca e complessa, capace di grandi cose ed esposta allo stesso tempo alla fragilità. Insieme, uguali e diversi allo stesso tempo.

Questo continuo rimettersi in gioco è evidente nella relazione di coppia: una vita matrimoniale si costruisce attraverso gli alti e bassi di un rapporto vissuto quotidianamente, nella ricchezza della diversità, nella libertà e nella fatica dell’incontro, della comunicazione e del dialogo.

Qui si fonda una continua evoluzione dei ruoli e delle responsabilità, per la donna e per l’uomo, di cui i nostri tempi sono testimoni. Qui nasce un nuovo modo di vivere la maternità e la paternità, e le nuove generazioni mostrano di saper reinterpretare tali ruoli all’insegna della condivisione, di una maggiore collaborazione: troviamo sempre più padri in congedo parentale alla nascita dei figli, dediti alla cura dei loro piccoli, felici di accompagnarne la crescita da protagonisti. È un nuovo modo di essere uomo e donna, di essere insieme famiglia.

Riconciliare il maschile ed il femminile potrebbe essere il primo verbo secondo cui declinare la giornata dell’8 marzo: riconciliare questa fondamentale relazione per portare riconciliazione in tutte le nostre relazioni.

Il secondo potrebbe essere testimoniare: mostrare che è legittimo, e che ci fa bene, il riconoscimento di questa parità, che riguarda sia la dignità della persona sia le sue capacità e abilità. E qui il pensiero corre ai forti condizionamenti che permangono nei nostri ambienti ecclesiali, dove nettamente si privilegia un protagonismo degli uomini ed una funzione accessoria e funzionale delle donne.

Rischiamo tra l’altro proprio su questo di compromettere il dialogo e l’incontro con le nuove generazioni, di allontanare le donne – le giovani donne – che non si riconoscono più in ruoli subordinati e che nella vita quotidiana, nelle amicizie, nella professione sperimentano la ricchezza e tutte le potenzialità di una interazione di genere, per così dire…

Un terzo verbo, infine, è assolutamente necessario declinare: educare. Ce lo insegnano forte e chiaro le ragazze iraniane in questo passaggio drammatico della storia del loro Paese, sostenute tra l’altro da tanti giovani uomini che sfilano accanto a loro: la prima rivendicazione riguarda lo studio, la cultura, la possibilità di una formazione. È questa la via maestra: se si crede alla possibilità reale di donne che sappiano assumere responsabilità e decisioni dobbiamo – in ogni ambiente, a partire da quello familiare – insegnare alle ragazze, incoraggiare allo studio, alla preparazione, alle grandi sfide del pensiero, anche in controtendenza rispetto alla descrizione della femminilità che appartiene ancora a tanta parte della nostra cultura occidentale.

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