La fede? Parliamone

Come guardano all'esperienza religiosa i giovani? E' una delle attese espresse per il Sinodo dei giovani. Le opinioni di quattro giovani trentini

“La religione? proprio niente”, risponde uno. “Una volta mi hanno battezzato, credo”, dice un altro. “A me no: sono nato prima che i miei genitori si sposassero e il prete non ha voluto battezzarmi. Da allora io e la Chiesa abbiamo preso strade diverse”. “Non saprei che dirti, continuo a farmi domande, ma per ora la mia posizione è indifferente”.

Ci abbiamo provato con alcune domande dirette, ma affrontare il tema-fede con i giovani risulta complicato. A conferma che nulla in quest'ambito va dato per scontato e che il confronto con le domande spirituali richiedono comunque una disponibilità, vanno coltivate. Alcuni semplicemente non lo vogliono fare, altri sì, ma comunque in forme sempre personali e diverse.

In quest'itinerario verso il Sinodo di ottobre le varie Chiese locali hanno cercato nei mesi scorsi di mettersi in ascolto dei giovani, utilizzando anche questionari e dedicando spazio all’argomento in diverse occasioni. E' stato prodotto l’”Instrumentum Laboris”, un documento ricchissimo, che forse a causa della sua vastità, risulta forse poco coinvolgente per i giovani. Ne abbiamo incontrati alcuni di persona, per capire direttamente dalle loro parole quale posto occupano nelle loro vite due declinazioni della fede: la spiritualità, intesa come credo personale, e la religione, intesa come sua espressione e quindi come partecipazione a liturgie e frequentazione di ambienti ecclesiali. La prima ad aprirsi è Silvia, 21 anni. Ci racconta che il suo modo di vivere la fede era molto rigido, “quasi bigotto”, scherza, autodefininendosi all'epoca una “nazicattolica”. Fino a quando non ha cominciato a frequentare il MEC, il Movimento Ecclesiale Carmelitano. Lì, dentro questa realtà ecclesiale, la sua vita è stata sconvolta: “Ho potuto fare più chiarezza – ci rivela – su come rapportarmi alle Scritture cercandovi delle risposte per le mie cose, ma soprattutto ho capito che la Chiesa siamo tutti noi, è fatta di noi, e quindi spitirualità e religione non si possono separare. Ho scoperto il lato gioioso di una fede che va presa e fatta vivere dentro di noi, ma che è anche vita sociale e di comunità.”Molto diverso è invece il racconto di Raffaele (nome di fantasia), 25 anni. Per lui fede e religione sono sempre state due cose ben distinte, ma dal momento in cui ha fatto coming out si sono ulteriormente separate. Mentre la spiritualità, per lui, è sempre stata una sorta di “lingua madre” che si mantiene nonostante il contesto, la religione si è fatta sempre meno presente. “Non mi sentivo d’accordo con la Chiesa”, spiega, “ho iniziato ad accorgermi di troppe crepe tra quello che si dovrebbe fare e il modo di vivere concreto, tra il modello di vita proposto e quello che io sono. Sarebbe bello poter partecipare alle celebrazioni, senza sentirsi malvisti e senza sensi di colpa.”Analoghe crepe segnano le esperienza di altre due ragazze con cui abbiamo dialogato. Cristina, 22 anni, dopo il liceo si è spostata a Milano per frequentare un’accademia di danza. Lì ha subito cercato di inserirsi in un ambiente oratoriale e di seguire la Messa, ma i contrasti tra la sua vita di ballerina e l’attenzione dedicata alla fede si sono presto fatti sentire: “Mi sembrava che il mio lavoro di ballerina fosse una cosa più grande di me e che mi mettesse in contrasto con la spiritualità, coi valori della famiglia che mi erano sempre stati insegnati. Tutt’ora sono in dialogo con Dio, e nè io nè Lui abbiamo ancora trovato una risposta.”

Anche Beatrice (altro nome di fantasia) mette in luce una frattura, questa volta legata alla sfera della sessualità. “Mi trovo in bilico nel vivere il rapporto col mio ragazzo”, ci confessa, “da un lato sento di trasgredire un aspetto di qualcosa in cui credo e mi sento in colpa, dall’altro è un atto che non compio mai con leggerezza. È un atto d’amore, e questa fede si basa sull’amore”.Fedi incerte, dunque, quelle dei giovani, e che non di rado inciampano ad un certo punto. Si sa, comunque, che questo tipo di inquietudine non è caratteristica negativa, anzi: può stimolare tanto le fedi personali quanto la Chiesa a continuare a cercarsi reciprocamente e camminarsi incontro”.

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