Una stilista a Iringa

Dal mondo della moda a un villaggio nel centro-sud della Tanzania, scoprendo il dramma della disabilità, ma anche risorse inaspettate

Elisa Grazioli, trentina, vive e lavora a Bologna nel campo della moda. Di lei e del suo impegno per l’Africa, e in particolare per la Tanzania, conosciuta per la prima volta nel 2011 grazie all’associazione “Albero di Cirene” di Bologna e poi attraverso il Gruppo missionario Alto Garda e Val di Ledro, abbiamo parlato nel dicembre 2012 (vedi Vita Trentina n. 49/2012), alla vigilia del suo anno sabbatico in quel Paese. Partita nel gennaio 2013, Elisa ha trascorso 14 mesi della sua vita “a contatto con delle persone e una realtà totalmente differenti da noi”. Ecco il suo racconto.

In Africa la vita non è facile. Per noi “wageni”, ovvero stranieri, l’esistenza quotidiana è molto impegnativa, a partire dal caldo, dal sole che ti segue tutto il giorno e rende tutto più lento. L’acqua è diversa, così come il cibo, e il nostro corpo è catapultato in un ambiente sconosciuto e ha bisogno di tempo per abituarsi al cambiamento. Così come esso metabolizza questi mutamenti un po’ alla volta, anche nel nostro voler aiutare il prossimo dobbiamo avanzare con prudenza. Una frase di Giuseppe Alamanno, un missionario che ha operato in Africa, esprime perfettamente il concetto: “Non dobbiamo semplicemente fare del bene: dobbiamo farlo con diligenza e nel miglior modo possibile. La pazienza va seminata dappertutto”. “Pazienza” è una parola che mi è tornata spesso in mente in questo periodo, perché oltre alla diversità del clima e dell’ambiente, bisogna fare i conti anche con la diversità culturale. Tante cose ci accomunano e tante altre ci dividono. I tanzaniani sono un popolo gentile e accogliente e lo si vede subito dai saluti; per loro il saluto è importantissimo, non sono mai avari con il tempo da dedicare ai convenevoli, si informano sulla salute delle persone che incontrano e della loro famiglia, anche se non le conoscono.

La mia casa per questi mesi è stato l’orfanotrofio delle Suore Teresine, Kituo Cha Watoto Yatima, a Tosamaganga in un villaggio vicino ad Iringa, nel centro-sud della Tanzania. E la mia famiglia, le persone che ci lavorano e la settantina di bambini (da un mese a sei anni di età), sei suore, una ventina di “dade” (maestre) e altri tre volontari tedeschi. Nel gruppo dei piccoli, da me seguiti, c’è anche Neema, una bimba che ha bisogno di assistenza e non è autosufficiente. Abbiamo deciso di adottarla a distanza e aiutarla nel suo percorso. Grazie anche alla collaborazione delle suore siamo riusciti a trovare un centro specialistico per bambini con problemi come i suoi. Ora io e lei siamo inseparabili!

Tramite Neema sono venuta a conoscenza di una parte della Tanzania alla quale non ci avevo mai posto attenzione prima ad ora, il mondo disabile. La disabilità in Tanzania copre il 7% della popolazione dai 7 anni in su e comprende: sordità, disturbi della comunicazione, ritardi e disturbi cognitivi, minorazioni fisiche che impediscono o limitano la mobilità, altre minorazioni che compromettono l’autonomia e cecità. Un’incidenza così elevata delle diverse forme di disabilità – nei paesi occidentali la disabilità colpisce tra il 2% e il 3% della popolazione – è solo in parte dovuto a patologie congenite alla nascita. Ma per fortuna ci sono molte Organizzazioni non governative che operano nel settore e durante la mia esperienza mi sono imbattuta in due organizzazioni molto valide: una è “Inuka” (www.inuka.it), che vuol dire “Alza la testa!” e l’altra è “Neema Craft”.(www.neemacrafts.com).

Inuka è un centro di accoglienza per bambini disabili che opera dal 2009 nella regione del Njombe in Tanzania e funziona come centro riabilitativo con annesso un ostello che agisce da fulcro di una strategia riabilitativa di base comunitaria impegnata su altri sette Centri socio riabilitativi in altrettanti villaggi rurali della Regione di Njombe. Qui con Neema veniamo ogni 3 mesi all’incirca per fare una settimana intensiva di fisioterapia, e posso dire che con la pazienza e la continuità che abbiamo avuto si vedono i frutti!

Ma purtroppo la pazienza e la continuità non è sempre facile qui, ed è per questo che in questi centri oltre all’aiuto di fisioterapia c’è un sostegno psicologico dove il genitore viene assistito per aiutarlo ad affrontare la vita con un bambino disabile.

Purtroppo quando un bambino è disabile è la mamma che se ne occupa interamente ed è proprio per questo che diventa molto difficile e pesante anche per lei. E’ importante che lei si confronti anche con altre mamme che hanno gli stessi problemi ed è per questo che ci sono degli incontri in gruppo per condividere la propria esperienza e non sentirsi sole e da imparare a farsi coraggio e chiedere aiuto ai propri uomini o famigliari.

“Neema Craft” è una realtà presente dal 2003 che coinvolge nel lavoro persone disabili. Ha iniziato con vari training su più tipi di lavori e nel 2011 ha aperto una guest house in centro ad Iringa, con un bar ed un negozio annesso nel quale vendono prodotti fatti interamente da persone disabili; anche il bar e la guest house hanno come operatori persone disabili.

Con questa associazione ho lavorato come volontaria sviluppando una linea di abbigliamento femminile per venderla nel negozio, così sono riuscita a mantenere viva la mia parte creativa che fa parte di me stessa da quando ero bambina.

La mia idea è creare una piccola linea d’abbigliamento femminile che incrocia i due mondi, quello europeo e quello africano. L’ho iniziata presso il Neema Craft e continuerò a venderla all’interno di questo negozio, ma la mia idea è cercare di venderla in tutta la Tanzania e a Zanzibar, collaborando esclusivamente con persone locali. Una parte del ricavato andrebbe alla scuola di cucito all’interno dell’orfanotrofio, con la quale quest’anno ho intrapreso un progetto di cucito. Con le ragazze dell’ultimo anno abbiamo cucito dei prodotti da vendere ai turisti di passaggio e con il ricavato riusciamo a pagare in parte il materiale scolastico dei tre anni di scuola.

Sarebbe bello con i soldi ricavati da questa piccola linea d’abbigliamento riuscire ad incrementare la scuola di cucito, perché ad oggi le risorse sono davvero scarse.

Tutto questo è molto eccitante, ma un po’ mi fa paura, perché è un progetto nuovo intrapreso in un Paese nuovo. Ma il bello delle nuove avventure è proprio la sensazione di incertezza e di sfida che le caratterizza.

Elisa Grazioli

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