Buenos Aires, signora decadente

La capitale argentina, tra economia e società. La continua svalutazione della moneta spinge a comprare a rate quasi tutto

Buenos Aires ti accoglie, con le sue dimensioni gigantesche, già all'arrivo. Secondo l'ultimo censimento (risalente ormai a fine ottobre 2010), circa un terzo degli abitanti del Paese vive nella zona metropolitana, generando una crescente richiesta di alloggi – che comunque i più poveri non possono permettersi. Si tampona in parte occupando abusivamente. La Calle México, quartiere di San Telmo, è conosciuta anche per questo: eppure si tratta di una zona turistica (seppur povera), dove tutti i fine settimana si svolge il tradizionale mercato dell'usato che richiama europei e statunitensi da ogni dove.

Bisogna avere l'occhio attento e alzare lo sguardo dalla folla e dalla strada dissestata per notare alcuni dettagli che fanno riflettere, come le paia di scarpe appese ai fili della luce – un segnale convenzionato. Dove ci sono le scarpe, si vende droga.

È affascinante come mondi paralleli abitino in modo radicalmente diverso gli stessi spazi. Anche per quanto riguarda questo mercato ci sono prodotti per ricchi e per poveri. Per questi ultimi (in tutti i sensi) la droga si chiama paco ed è lo scarto della lavorazione della cocaina. Una dose costa circa un dollaro. Myriam Meloni, fotografa originaria di Cagliari, ha realizzato un lavoro di ricerca dal titolo “Fragile self”: è stato riconosciuto come patrimonio culturale dalla Repubblica di Argentina. Si riconosce l'entità del problema, ma il come gestirlo è ancora, purtroppo, un grosso punto interrogativo.

In questo intrico di case occupate e problemi vari la società va avanti. La crisi del 2001 è passata, ma ha lasciato degli strascichi. Dopo quanto è successo, le persone non si fidano più delle banche: il risultato è che si risparmia in dollari o euro (e non in pesos, la moneta nazionale che si sta svalutando a vista d'occhio); e che i risparmi si tengono in casa. I dollari e gli euro si ottengono grazie ai turisti o agli amici che vanno all'estero. Quando c'è bisogno, si va a cambiarli alle cuevas, il mercato nero. Per il cambio ufficiale un peso argentino oscilla tra i 10-11 euro; per il cambio in nero, si parla di 17-18 euro.

Il mercato nero poi non è solo riservato alle valute, ma anche a tutti quei beni importati che il governo considera di lusso. Non stiamo parlando di marche come Gucci o Prada, ma di quelle che in Europa hanno come target la classe media, come Adidas e Levis. In Argentina costano esponenzialmente di più: e lo stesso vale per i prodotti tecnologici, come l'iPhone. Il governo, per proteggere il proprio mercato, agevola i consumi interni ma pone tasse elevate ai beni di importazione. L'idea è scoraggiarne il consumo: se li puoi comprare è perché te lo puoi permettere; altrimenti scegli prodotti locali. Magari la realtà fosse sempre così, bianco e nero: la pubblicità è globale, e il bisogno indotto di abiti di marca o telefoni di ultima generazione si fa sentire. Da qui alla nascita di un fiorente mercato nero il passo è breve.

Ma la continua svalutazione della moneta nazionale ha un altro risvolto: quasi tutto viene comprato a rate. Grazie al governo che paga gli interessi il guadagno è evidente: da quando si inizia a pagare a quando si chiude il prestito, il pesos si sarà svalutato talmente tanto che le rate non avranno più lo stesso valore di partenza.

Nonostante questo i negozi, così come i bar ed i ristoranti, sono spesso vuoti. Di lavoro ce n'è poco, e quel poco che c'è è pagato male: in tanti decidono quindi di ingegnarsi, inventandosi qualcosa di nuovo. Numerosi piccoli designer locali producono vestiti e accessori che poi vendono nei vari mercatini dell'usato (in città ce ne sono tantissimi e tutte le settimane), oppure aprendo una pagina su Facebook per far conoscere i propri prodotti: di necessità virtù.

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