Nell’accoglienza reciproca

Perdonando gli altri, si impara a perdonare se stessi e a usare misericordia con tutti. Così impareremo ad essere peccatori, che sanno meritarsi la fiducia di Gesù

Fino a questo appuntamento la nostra riflessione si è concentrata sul nostro personale modo di essere cristiani e pellegrini in questo tempo quaresimale. Il Vangelo di questa IV domenica mi colpisce tanto, soprattutto quando Giovanni afferma che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque creda in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Questo brano ci spinge avanti con lo sguardo perché ci fa vibrare il cuore nel pensare al Crocifisso come l’icona più completa e forte di quel Dio, che da lontano è diventato vicino. Per dimostrarci il suo amore incondizionato e gratuito, il Redentore si è lasciato inchiodare sulla croce e deporre in un sepolcro frettolosamente perché era la vigilia della Pasqua. Ma l’evangelo di questa domenica ha in se l’eco del mistero del Natale: la fragilità del bambino di Betlemme – ora nel Crocifisso – è la dimostrazione che possono molto di più occhi che sanno amare e consolare, che delle mani che riescono a fare opere grandiose.

Mi fa riflettere lo scoprire in continuazione che la grandezza delle nostre comunità risiede nell’essere accoglienza di chi non trova spazio negli altri gruppi e luoghi di vita, solamente perché non riescono ad essere all’altezza delle situazioni. Ma è importante constatare con semplicità e sincerità che questo costituisce anche per noi cristiani una difficoltà e un limite. Farebbe bene a ciascuno di noi, quando ci accorgiamo di seguire i criteri di una falsa purezza, ricordare tutte le pagine evangeliche nelle quali Gesù ha incontrato e accolto lebbrosi, indemoniati, l’adultera. Pensando anche a questo si scopre che Papa Francesco è dono dello Spirito Santo e il suo insistere sulla misericordia è la medicina, che salva le nostre comunità dal divenire sterili e attaccate a una tradizione che paralizza, invece di percorrere strade evangeliche nel mondo odierno. Ricordiamo il proemio della “Gaudium et Spes” – documento del Vaticano II – “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Alla fine l’uomo e la donna di oggi cercano solamente qualcuno che dia loro attenzione e ascolto.

Sono forti le parole di Papa Francesco nella sua omelia per la III domenica di Quaresima: “Ci farà bene, oggi, entrare nel nostro cuore e guardare Gesù. Dirgli: “Signore, guarda, ci sono cose buone, ma anche ci sono cose non buone. Gesù, Tu ti fidi di me? Sono peccatore…”. Questo non spaventa Gesù. Se tu gli dici: “Sono un peccatore”, non si spaventa. Lui, quello che lo allontana, è la doppia faccia: farsi vedere giusto per coprire il peccato nascosto. “Ma io vado in chiesa, tutte le domeniche, e io…”. Sì, possiamo dire tutto questo. Ma se il tuo cuore non è giusto, se tu non fai giustizia, se tu non ami quelli che hanno bisogno dell’amore, se tu non vivi secondo lo spirito delle Beatitudini, non sei cattolico. Sei ipocrita. Primo: Gesù, può fidarsi di me? Nella preghiera domandiamogli: Signore, Tu ti fidi di me?”

È tipico dei Gesuiti l’esame di coscienza, ma rivela – tra le altre cose – quale è il nostro modo di pensare e vivere la fede e i luoghi di vita in cui siamo. E a partire da questo scopriamo l’importanza di essere comunità radunate intorno al Vangelo e all’Eucaristia. È attraverso queste realtà che il Signore ci sprona a rinnovare il nostro sguardo e il nostro cuore per diventare seme della comunione tra di noi, uomini e donne, con al centro il Signore risorto. Quando uno diventa uomo dell’efficientismo, perde il significato di quello che è essenziale nella quotidianità della vita, per diventare schiavo del risultato. La rivoluzione copernicana delle Unità Pastorali risiede nella scoperta evangelica di sapere, vedere e vivere in ogni uomo un frammento di Dio, che unito agli altri frammenti continua ancora oggi a raccontare la bellezza e la forza di Dio, diventando buona notizia e segno di speranza per ciascuno. Non più solo il parroco con la delega per tutto, ma insieme riscoprendo che da come ci amiamo gli altri sapranno che siamo discepoli del Signore. È nell’accoglienza reciproca che saremo capaci a accogliere fino in fondo noi stessi e gli altri, perché perdonando gli altri, si impara a perdonare se stessi e a usare misericordia con tutti. Così impareremo ad accettare di essere peccatori, perché la nostra forza è il perdono che viene da Dio.

Don Nicola Belli

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina