Da dieci anni, custode della biodiversità

Un angolo di paradiso terrestre custode della biodiversità vegetale alpina: l’orto dei semplici di Brentonico quest’estate ha compiuto dieci anni. Da quel 26 giugno 2005, giorno dell’inaugurazione, il numero di piante ospitate nel retro di palazzo Eccheli Baisi, è aumentato, in un turnover continuo che, ogni anno, permette ai visitatori di scoprire nuovi aspetti della natura locale.

Sui 6.000 metri quadrati di giardino, progettato dal Servizio Ripristino della Provincia sul modello degli spazi verdi rinascimentali di Padova e Pisa, al momento sono ospitate 500 specie. L’ambiente, collocato a 690 metri di altitudine, è diviso in due parti: a ovest il vero e proprio orto dei semplici, con piante aromatiche, medicamentose e alimentari coltivate nelle aiuole. A est, invece, c’è il giardino botanico, dedicato alle specie che crescono spontanee sulla catena del Baldo. Ogni vegetale, in questo caso, è inserito in piccoli microambienti che ricalcano l’habitat del prelievo.

Alessio Bertolli è il “papà” dell’orto dei semplici: nella sua veste di responsabile scientifico della Fondazione Museo Civico ha scelto una per una ogni piantina e, da un decennio a questa parte, ha continuato a curare la flora dietro il palazzo. “All’inizio recuperavo le piante durante le mie escursioni e le portavo con me nello zaino”, ricorda lo scienziato.

Sul Baldo, per chi se ne intende, c’è l’imbarazzo della scelta: sono infatti 1.950 le specie vegetali conosciute. Una ricchezza dovuta a tre aspetti. Innanzitutto il massiccio è un unicum per la sua varietà di altitudine: si passa dai 65 metri delle coste affacciate sul Garda ai 2.218 metri di Cima Valdritta.

In secondo luogo, il Baldo è posizionato in senso Nord-Sud; i 40 chilometri tra Loppio e Caprino rappresentano il limite meridionale e settentrionale di crescita per diverse specie. Infine, nelle ultime glaciazioni, 12.000 anni fa, la cima della montagna è rimasta sgombera dai ghiacciai. “Sopra una certa quota c’erano praterie e lì si sono conservate specie che, con le sciogliersi dei ghiacci, sono diventate endemiche”, spiega il botanico.

“Ho dovuto eliminare gli esemplari che crescono a quote più alte, come la stella alpina, perché nel giardino non sarebbero sopravvissute”, spiega Bertolli. Tra le piante più rare che hanno trovato casa nell’orto dei semplici c’è la cicuta maggiore, la più velenosa di tutto il giardino (e Socrate ne sa qualcosa!). “L’abbiamo registrata nei pressi di alcune malghe del Baldo. Ama i pascoli molto concimati, dove le mucche stazionano prima e dopo la mungitura”, precisa il botanico. Non c’è da scherzare nemmeno con l’aconito, un’altra specie tossica; la sua presenza sull’Altopiano era nota fin dal ‘500 ed è stata recentemente riconfermata in due cespuglieti subalpini.

“L’esemplare al quale sono più affezionato è un ibrido tra il sambuco nero e il sambuco rosso, che fino a qualche anno fa era sconosciuto alla scienza”, racconta l’esperto, che poi prosegue: “Mi sono imbattuto in una pianta a malga Zocchi Bassi e credevo di aver fatto una vera scoperta, salvo poi realizzare che lo stesso ritrovamento lo avevano fatto pochi giorni prima dei tedeschi”. L’ultima arrivata nel giardino è, invece, l’Angelica Silvestri, un’ombrellifera tipica delle zone umide, che può crescere fino a un metro e mezzo di altezza.

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