La politica del leader

Alla fine Renzi ha dovuto metter mano in prima persona al disegno di legge sulle unioni civili. Non poteva che finire così, anche se non è affatto chiaro quanto il suo intervento potrà essere risolutivo: le solite fibrillazioni della minoranza dem non lasciano del tutto tranquilli, così come una certa campagna di opinione pubblica che cavalca ondate emozionali senza gran fondamento.

La scelta che sembrerebbe imporsi è quella di arrivare all’approvazione del testo stralciando la questione controversa delle adozioni all’interno delle coppie omosessuali. Certo la cosa avviene in un tripudio di macchiavellismi, coi Cinque Stelle che adesso si dichiarano favorevoli alla versione originaria della legge, gli alfaniani che sbandierano vittorie, il centrodestra che si divide, la sinistra estrema dentro e fuori il PD che vorrebbe andare alla prova muscolare. Ciò significa che comunque vada la partita non si chiuderà col voto finale sul ddl Cirinnà rivisto dal maxiemendamento del governo. Ci sono da prevedere strascichi, perché i veleni che si sono lasciati mettere in circolo in quest’ultimo mese continueranno a lavorare e non mancheranno molti che, pur approvata la legge, vorranno rilanciare quel che si è stralciato, con grande gioia di coloro che avranno così l’occasione di ritornare sulle barricate per bloccare le nuove iniziative.

E’ il contrario di quanto servirebbe al paese in un momento assai delicato e di quanto servirebbe a Renzi che, piaccia o meno, continua ad essere l’unica risorsa in campo a livello di governo. Per convincersene basta pensare a come è messo il centrodestra per le elezioni amministrative: non riesce a gestire le campagne, con la sola parziale eccezione di Milano; Berlusconi è sempre più l’ombra di sé stesso; Salvini punta chiaramente ad occupare il campo con una prospettiva di populismo sempre più radicale. In queste condizioni è difficile pensare che da quella parte si sia in grado di esercitare una sfida all’attuale premier.

Peraltro si va sempre più affermando una sfida interna al PD, che adesso diventa palese con l’annuncio del presidente della Toscana Rossi di volersi candidare al congresso per contendere la segreteria a Renzi. In presenza di continui “distinguo” della minoranza interna e con una situazione parlamentare sempre a rischio di imboscate il premier non può certo dormire sonni tranquilli.

Eppure i problemi in campo rimangono più che spinosi e non sono quelli di cui si discute a proposito della modifica del ddl Cirinnà. Il più complicato riguarda la nostra situazione economica che non è affatto tranquilla, perché il macigno del debito pubblico non viene scalfito e il finanziamento della ripresa rimane di conseguenza difficoltoso. C’è un certo consenso fra gli analisti economici su ciò che servirebbe per un rilancio delle nostre prospettive: diminuire la tassazione e riprendere a finanziare le opere pubbliche con investimenti. Ma ciò è impossibile senza mettere mano ad un severo riordino della spesa pubblica, che è quel che proprio non si riesce a fare: troppo forti le lobby, troppo complicato il sistema dei cosiddetti “diritti acquisiti”, troppo pericoloso tagliare iniziative che sono sì poco utili ma che comunque assorbono occupazione (e in questo momento di ulteriore disoccupazione non c’è proprio bisogno).

Sullo sfondo c’è, ovviamente, la questione europea, che si è complicata col compromesso ottenuto dalla Gran Bretagna per un suo statuto particolare. Così si è indebolita la capacità di tenuta della UE e sarà per esempio difficile riportare all’ordine i vari paesi su un tema difficile come il governo delle immigrazioni di massa (si veda il caso dell’Austria dove si tende addirittura a fare blocco con l’Ungheria!). Il governo italiano ha fatto una mossa azzeccata con un documento programmatico sulle riforme dell’Unione, documento che è stato giudicato abbastanza bene dagli esperti, ma non è certo sufficiente a dar forza ad un esecutivo, specialmente se si trovasse in difficoltà sul terreno interno.

Si aggiunga che tutto questo non crea una buona premessa per gestire il referendum costituzionale di ottobre: già il tema è difficile e poco mobilitante, se poi lo si lascia nelle mani di strumentalizzazioni politiche che verranno strascico delle difficoltà che abbiamo cercato di elencare non sarà davvero una partita facile.

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