Ricercatori lontani dalle telecamere

Dalla seconda gornata della biodiversità riprendiamo due relazioni meritevoli di divulgazione. Trattano argomenti importanti, ma ignorati dai mezzi di comunicazione

“Il Trentino per la biodiversità, 20-21-22 maggio 2016” è il titolo di un quaderno di poche pagine, ma denso di contenuti, che riporta in forma corretta e al tempo stesso comprensibile a tutti le idee base che hanno informato la impegnativa tre giorni ideata da Federico Bigaran, direttore dell’Ufficio per le produzioni biologiche della Pat e collaboratori con il sostegno di vari enti, istituti ed associazioni.

La prima giornata era dedicata alle scuole, la seconda agli addetti ai lavori, la terza al grande pubblico.

Le prime due si sono svolte nell’azienda agricola sperimentale ex De Bellat di Borgo Valsugana, oggi proprietà della Provincia, ma gestita dalla Fondazione Edmund Mach, la terza al Muse di Trento.

Avendo partecipato alla seconda giornata, abbiamo potuto ascoltare tutte le relazioni in programma. Ne riprendiamo due, proposte da Heidi Hauffe della Fondazione Mach e da Pietro Fusani agronomo dell’Unità di ricerca per il monitoraggio e la pianificazione forestale che ha sede a Villazzano di Trento.

La scelta è limitativa e non vuole trascurare le altre relazioni sulle quali potremmo riferire in seguito, ma sono stati i due relatori a dire che avrebbero trattato argomenti poco conosciuti dal pubblico.

Heidi Hauffe (“Biodiversità dentro l’ osservazione della diversità genetica”) ha esordito dicendo che esistono quattro livelli o ambiti interpretativi della biodiversità: culturale, di ecosistema, di specie e genetica.

La relatrice è dirigente del Dipartimento biodiversità ed ecologia molecolare all’interno del Centro ricerca e innovazione della FEM. Dal primo febbraio 2016 (ultima riorganizzazione) l’attività del Dipartimento è stata ripartita fra tre gruppi di lavoro: genetica di conservazione, ecologia applicata, ecogenetica delle piante selvatiche.

Hauffe lavora nel primo gruppo. Grazie ai finanziamenti della Pat ed in parte anche dell’ Unione europea, il gruppo ha studiato il patrimonio genetico di molte specie di animali selvatici che vivono nei boschi del Trentino (monitoraggio della biodiversità genetica). Il primo risultato ottenuto è la disponibilità di una banca dati con il profilo genetico delle specie monitorate. La conoscenza della diversità genetica all’interno delle singole specie e della popolazione serve per prevedere la possibile resistenza a malattie e la capacità di adattamento e sopravvivenza ai cambiamenti climatici. Maggiore è la diversità genetica, più grande è la possibilità di superare entrambi i tipi di rischio. Controllare il numero di camosci presenti in un determinato territorio serve non solo per fornire elementi statistici ai responsabili della programmazione e l’attività venatoria, ma anche e soprattutto per valutare la possibilità di sopravvivenza se dovesse intervenire un nuovo agente patogeno. Questi profili genetici dovrebbero essere trasmessi ai competenti organi dello Stato.

Seguendo gli stessi criteri, Andrea Gandolfi che fa parte del Gruppo è riuscito a identificare, sulla base della diversità genetica, le femmine di trota marmorata più vicine al profilo originario per assenza di geni provenienti da incrocio con la trota fario. Le femmine riconoscibili tramite marcatori molecolari sono messe a disposizione delle associazioni di pescatori dilettanti che si occupano della produzione di uova embrionate, avannotti e trotelle da utilizzare nella ripopolazione delle acque soggette a pesca sportiva.

Il gruppo coordinato dalla Hauffe lavora anche sulle due specie di zanzara (Tigre e Coreana) presenti in Trentino portatrici potenziali di malattie dell’uomo. Anche le zecche formano oggetto di ricerca perchè con la puntura trasmettono agenti virali di malattie a diverse specie di animali che a loro volta ritrasmettono le malattie ad altri o ne diventano portatori latenti.

Domesticazione, raccolta spontanea, conservazione, tecniche colturali sono le parole chiave per capire la relazione di Pietro Fusani (“Domesticazione di piante alimentari ed officinali alpine”).

La domesticazione (da selvatica a coltivata) di vare specie vegetali di interesse alimentare od officinale con l’obbiettivo della loro coltivazione ha costituito fin dalla istituzione dell’Unità di ricerca forestale di Villazzano (primi anni ’80) parte integrante e caratterizzante del’attività avviata da Alessandro Bezzi, proseguita da Carla Vender e portata avanti attualmente da un gruppo formato da Pietro Fusani, Fabio Scartezzini e Nicola Aiello.

Le specie oggetto di ricerca e sperimentazione sono: Arnica montana, Genziana lutea, Rhodiola rosea (Rodiola), Cicerbita alpina (insalata dell’ors) e Aruncus dioicus (asparago selvatico). Tutte e da sempre sono oggetto di raccolta da parte della gente di montagna. Per soddisfare il fabbisogno familiare di cura e/o di alimentazione, ma anche a fini commerciali. Raccolta e vendita hanno assunto purtroppo dimensioni devastanti non solo per quantità, ma anche per modalità di raccolta.

Il primo merito dei ricercatori è rappresentato dalla messa a punto di metodi di coltivazione in serra, in appezzamenti a carattere dimostrativo e anche in pieno campo. Non a caso la coltivazione parte dal seme. Il seme infatti conserva intera la biodiversità.

Alla coltivazione e valutazione agronomica di accessioni di specie di interesse medicale e aromatico talora anche provenienti dall’estero ha fatto seguito la valutazione biochimica riferita alle sostanze contenute nella pianta.

Il confronto fra specie autoctone o locali e quelle provenienti dall’estero può servire anche per trovare elementi di differenziazione a vantaggio delle specie nostrane. Il relatore ha sottolineato più volte che il lavoro del gruppo non ha solo finalità scientifiche, ma è fatto anche a vantaggio di un possibile reddito integrativo delle aziende di montagna.

E’ di buon auspicio il rapporto interpersonale che si è stabilito con ricercatori del Dipartimento nutrizione e alimentazione della Fondazione Mach.

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