Eccellenza oscurata

Da quando è stato incorporato nella Fondazione Mach, il Centro di ecologia alpina ha subito un graduale ridimensionamento. Un gruppo di ricercatori ex Cea chiede che vengano meglio valorizzate le loro competenze

Gli articoli, critici, ma propositivi, aventi per oggetto l’attività della Fondazione Mach di S. Michele pubblicati sulla pagina “Agricoltura per tutti” non sono piaciuti a qualche persona interna che non vuole intromissioni neppure da chi all’Istituto agrario ha trascorso parte della propria vita rispettivamente nella veste di docente e di studente. Ma hanno anche indotto tre ricercatori che lavorano nel Dipartimento Biodiversità ed ecologia molecolare a chiedere di incontrarli per esprimere opinioni e proposte riguardanti l’attuale situazione del dipartimento cui appartengono.

I tre hanno lavorato presso il Centro di ecologia alpina delle Viote (monte Bondone), indicato e ricordato dall’acronimo CEA.

Anticipiamo i punti essenziali del colloquio che si è concluso con l’accordo di renderli pubblici senza toni polemici, al solo scopo di suscitare una risposta da parte della nuova presidenza e dirigenza generale e di ottenere un confronto diretto con il cda.

Le opinioni: dopo l’accorpamento nella Fondazione, la nostra attività di ricercatori, definita, a consuntivo, eccellente dalla autorevole rivista “Scientometrics” (2011) ha sùbito un graduale ridimensionamento. I risultati ottenuti oggi non sono considerati e valorizzati come dovrebbero.

Proposte: vogliamo che le nostre competenze pregresse ed attuali trovino un più elevato riconoscimento e posizionamento all’interno del CRI (Centro ricerca e innovazione) o , se sarà ritenuto opportuno, anche presso altre postazioni di ricerca che entreranno a far arte della nuova galassia universitaria e scientifica che sta prendendo forma e consistenza in questi giorni, in materia di ambiente, biodiversità forestale e fauna selvatica. Non un ritorno all’origine (CEA), ma una più chiara definizione dei nostri ambiti di lavoro.

La provenienza dal CEA dei nostri interlocutori ci ha spinto a consultare i Report dell’organigramma e delle attività di ricerca svolte all’Istituto agrario di S. Michele prima e dopo il cambio di natura giuridica, da ente provinciale a fondazione privata. Nell’ “Annual Report Iasma Centro sperimentale 2008” il Centro di ecologia alpina si trova affiancato ai 5 dipartimenti attivi nello stesso anno a S. Michele. I Dipartimenti sono indicati con le seguenti declaratorie: qualità agroalimentare, valorizzazione delle risorse produttive, biologia e genetica molecolare, valorizzazione delle risorse naturali, protezione delle piante.

Il Centro di ecologia alpina istituito nel 1992 come ente funzionale della Provincia autonoma di Trento, durante i suoi 15 anni di attività ha realizzato una serie di programmi di ricerca multidisciplinari in alcuni campi e su tematiche di portata sia locale (dell’Arco alpino) sia internazionale. La conferma si ha consultando varie pubblicazioni, resoconti di convegni, risultati di progetti internazionali.

Di questo si dà ampio resoconto nel Report citato (2008). Dal Report 2011-2012 si apprende che, in seguito ad organizzazione interna al CRI, il personale del CEA è stato ripartito in due dipartimenti di nuova definizione: agro ecosistemi sostenibili e bio-risorse; biodiversità ed ecologia molecolare. Secondo i nostri interlocutori la suddivisione è stata voluta ed imposta dal direttore del CRI per marcare il confine tra ambito agricolo e ambito forestale.

I nostri interlocutori non potevano né possono pretendere di occuparsi all’interno dell’attuale dipartimento di appartenenza, da soli e in esclusiva, di problemi legati all’ambiente. Su 250 ricercatori che lavorano all’interno del CRI suddivisi in 5 dipartimenti almeno 150 trattano argomenti direttamente o indirettamente legati all’ambiente. Avrebbero invece potuto redigere un documento propositivo e migliorativo della loro attività nei settori biodiversità e ambiente, ecologia animale, eco genomica e genetica di conservazione. Ci risulta invece che hanno fatto parte e anche contribuito a costituire un gruppo di ricercatori, tecnologi e collaboratori che ha elaborato una proposta di riorganizzazione del CRI riguardante la gestione del Centro, anziché l’attività svolta.

Siamo riusciti a prenderne visione e non ci è piaciuto perché, se accettato e messo in pratica, porterebbe ad uno sconvolgimento della necessaria organizzazione interna al sistema.

Una guida di tipo verticale, purché rispettosa delle opinioni delle fasce intermedie, non può essere trasformata in una democrazia assembleare permanente.

Confidiamo che la strada imboccata della collaborazione fra Università di Trento e Fondazione Mach porti a soluzioni concrete.

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