La politica dell’asprezza

Oggi lo show del cinismo della politica è esibito in pubblico

Le battute ciniche su cosa sia la politica si sprecano, qualcuno ricorderà Rino Formica che diceva che “la politica è sangue e m…”. Però forse si ricorderà che allora ci si riferiva in qualche modo a quel che succedeva dietro le quinte, mentre sulla scena pubblica si cercava di salvare quelle che venivano definite come “le forme”. Oggi sembra che le quinte siano state abbattute e che lo show del cinismo della politica debba venire esibito in pubblico.

La vicenda dei sindaci leghisti del bresciano che si rifiutano di incontrare il presidente Mattarella è emblematica di questo decadimento dei costumi. La scelta viene giustificata con il rifiuto delle posizioni del Capo dello Stato sull’immigrazione, ma nessuno di questi signori sembra sapere che quelle sono sue posizioni per quanto autorevolissime, non atti di governo, perché nel nostro ordinamento il Capo dello Stato non ha potere esecutivo. Dunque siamo all’assurdo di rappresentanti di istituzioni dello stato, che sono fondate sulla Costituzione, i quali censurano le idee del Presidente della Repubblica. Semplicemente un atto sedizioso in senso tecnico.

Naturalmente è da credere che nessuno di questi signori sapesse cosa stava facendo, perché purtroppo la cultura e la preparazione delle nostre classi politiche diventano sempre più fragile (per usare un eufemismo). Lo si può toccare con mano quasi ogni giorno.

La vicenda della giunta del M5S a Roma è un altro momento emblematico di questa debolezza di preparazione. Solo questo può spiegare un pasticcio in cui si mente e poi ci si giustifica con giochetti retorici (non abbiamo detto che la assessora era indagata perché ci hanno chiesto se aveva ricevuto un avviso di garanzia che invece non era giunto), gli assessori e i tecnici chiave saltano come birilli, si scopre che a consigliare il sindaco sulle scelte delle persone è uno studio romano di avvocati legati non precisamente alla proclamazione dei “valori” pentastellati.

In tutto questo si nota una mancanza di organismi e di regole in grado di gestire questi scivoloni, perché tutto è affidato ad istanze inventate al momento (del resto non c’è uno statuto), mentre si scopre, se non si vuol essere ciechi, che la mitica “rete” in questi casi non serve a nulla.

Se Atene piange, Sparta non ride, si diceva una volta (magari adesso il numero di quelli che capiscono la battuta si è radicalmente ristretto …). Ed ecco il PD che continua imperterrito a spaccarsi come se la cosa più importante fosse la tenuta o la caduta di Renzi (per sostituirlo con chi non si sa). Prescindendo dal revival di D’Alema, che sembra tanto il tentativo del vecchio attore di riguadagnare ad ogni costo una scena, adesso il tema sembra essere diventato la riforma della legge elettorale, perché con l’Italicum si rischia che in un ballottaggio vinca il M5S.

In realtà la questione è ben più complicata. La Corte Costituzionale dovrà esprimersi il 4 ottobre su questa legge e i profili più suscettibili di critica sono due. Il primo è la questione delle candidature multiple che sono oggettivamente una truffa, perché il cittadino vota per una personalità che non è affatto sicuro sceglierà poi quel collegio dopo l’eventuale vittoria. Il secondo è l’attribuzione del premio di maggioranza a prescindere dal numero dei votanti, perché nel caso di un alto astensionismo (e abbiamo già avuto casi in cui ha votato il 50% o anche meno degli elettori) il premio andrebbe a qualcuno che rappresenta un consenso reale molto basso.

Ora queste sono due obiezioni serie che il governo o almeno la maggioranza che lo sostiene farebbero bene a provare a correggere prima che la Corte li obbligasse a farlo. Naturalmente sappiamo benissimo che questo è pressoché impossibile perché sono i piccoli partiti che danno il margine di maggioranza all’attuale coalizione ad avere imposto la prima scelta scellerata (inclusa quella dei capilista bloccati, meno grave però se non ci fosse la possibilità di candidature multiple in più collegi).

Nell’asprezza del confronto politico attuale tendere ad interventi che riequilibrino la situazione sarebbe salutare, ma, proprio per questo contesto, diventano operazioni pressoché impossibili.

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