Quella porta aperta a Gerusalemme

In visita alla roveretana suor Maria Chiara Bosco, superiora del convento delle clarisse di Santa Chiara, che è luogo d'incontro fra fedi e religioni nella Città Santa. In due giornate di “open house” vi hanno fatto visita 500 israeliani

La vicinanza al custode trentino fra Francesco: “Siamo in comunione con lui, con le sue preoccupazioni, con il suo invito a pregare innanzitutto per la Siria e per le altre situazioni di guerra e sofferenza"

Gerusalemme, dicembre 2016 – La domanda vera ("come mai la scelta della clausura in un monastero a Gerusalemme?") alla fine rimane tra le cose non dette. Anche perché non serve più, al termine di una chiacchierata durata oltre un'ora, nata per caso e che si conclude con il francescano "pace e bene" che è anche augurio di Natale e soprattutto viatico per l'anno nuovo.

"Il nostro monastero è specchio di Gerusalemme", spiega suor Mariachiara Bosco, trentina di Rovereto, che otto anni fa ha lasciato Borgo Valsugana – sua prima sede di clausura – per trasferirsi, appunto, in Terra Santa. E in questa definizione, a ben guardare, c'è tutto. C'è la scelta del silenzio e della preghiera; c'è il fare comunità tra suore che vengono da tante nazioni diverse; c'è la pratica del dialogo come forma – esigente e non scontata – di dedicare la propria vita a Dio;  c'è la conoscenza della complessità di questa terra dove tutto dovrebbe unire ed dove invece tutto divide. 

Il quartiere ebraico di Talpiot è sulla grande strada, la Hevron Road, che collega Gerusalemme a Betlemme. Traffico intenso, edifici moderni, il frastuono delle metropoli. Sui marciapiedi camminano veloci soprattutto gli haredim la cui presenza è in continuo aumento, non solo nei nuovi insediamenti ma anche nella parte vecchia della città: cappotto nero, cappello a larghe tese, barba e e capelli a boccoli che scendono dalle tempie. 

Il fascino e la grandezza di Gerusalemme sta appunto nel fatto che proprio lì, dove proprio non te lo aspetti, c'è il monastero di clausura delle clarisse. Un grande parco, quasi un polmone verde nel cemento tutt'attorno, e un campanello dove, azzardando una sosta nel trasferimento verso Betlemme, ci si presenta chiedendo semplicemente di poter parlare con la superiora. 

Piccola colonia trentina attorno al Monte Sion, verrebbe da dire. Infatti, dopo aver parlato in dialetto con  padre Francesco Patton, responsabile da giugno della Custodia di Terrasanta, la cadenza trentina ritorna anche nella chiacchierata con suor Mariachiara Bosco che, dallo scorso mese di febbraio, è la Madre Badessa delle clarisse del "Monastère Ste Claire Jérusalem".

"Quando padre Francesco è venuto a trovarci, no, tra noi non abbiamo parlato in dialetto", sorride suor Mariachiara che qui è arrivata dopo una laurea in architettura a Venezia, l'esame di abilitazione e una vocazione alla soglia dei 30 anni. Poi Orvieto e Borgo Valsugana dove padre Francesco era di casa anche per il suo ruolo di padre provinciale dei francescani trentini. "Ora noi tutte preghiamo per lui perché il padre Custode ha un grande carico di responsabilità. Siamo in comunione con lui, con le sue preoccupazioni, con il suo invito a pregare innanzitutto per la Siria e per le altre situazioni di guerra e sofferenza". 

"Il signore nel 2016 ci ha dato anche un'altra grazia: la nomina di padre Pierbattista quale nuovo arcivescovo di Gerusalemme". Fu lui, Pierbattista Pizzaballa, per tanti anni Custode di Terrasanta, a chiedere alle clarisse di tutto il mondo di mettersi disponibili a venire a Gerusalemme dove il monastero che si trova proprio di fronte al Monte degli Ulivi (con una vista impagabile che spazia su tutta la città vecchia) rischiava l'abbandono per carenza di vocazioni. 

Fu proprio in seguito a quell'appello che Chiara Bosco nel settembre 2009 lasciò Borgo Valsugana e l'Italia. "All'inizio il problema principale fu quello delle lingue: qui in monastero si parlava francese. Poi ho dovuto impratichirmi con l'inglese. E con l'ebraico, quello antico (che usiamo nelle letture) e quello moderno". 

L'ebraico moderno serve anche per aprire le porte. Per fare del monastero, attraverso una Porta della Misericordia da queste parti davvero speciale, anche un luogo di incontro, di reciproca conoscenza: sono i ponti, e non i muri, a costruire futuro.  Così sono bastati due giorni di "Open House", iniziativa proposta dalla municipalità di Gerusalemme per portare centinaia di israeliani a far visita alla suore, lì dove per i servizi trovano lavoro anche molti palestinesi (musulmani). 

"In due giorni circa 500 persone si sono avvicinate al monastero, curiose di conoscere chi abita dietro quel grande muro in pietra che costeggia la strada e interessate anche a rimanere in chiesa durante l'Ora Sesta, pregata in ebraico. Anche per noi, è stata una esperienza edificante per la testimonianza di rispetto e di stima, per la nostra vita, che ci hanno dato".

Da quasi un anno, suor Mariachiara ha la responsabilità della comunità delle clarisse di Gerusalemme ("la nomina? Con normali  elezioni, voto libero e segreto. Unico limite, nessuna può votare se stessa") e l'impegno forse più gravoso è proprio quello dell'accoglienza, del dialogo, dell'incontro con i tanti pellegrini che qui fanno sosta. E poi la preghiera, "anche per il nostro Trentino" e per un anno nuovo che possa essere anno di pace. 

 Giorgio Lunelli.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina