Un altro motivo di conversione

Amare come lui ci ha amato vuol dire voler mettersi a servizio degli altri

Lasciamoci interpellare da un Dio che si fa pane, alimento di vita per noi. Ci hanno insegnato che per ricevere il Corpo di Cristo dobbiamo essere senza peccato. Gesù non ha mai chiesto alle persone di “purificarsi” per poter arrivare a lui. Piuttosto, è stato sempre il contrario: arrivando a lui le persone sono state liberate dal peccato. Gesù si fa cibo non come premio per la nostra buona condotta, ma come medicina per darci la forza di fare il bene. Fare il bene vuol dire prendere sul serio l’unico comandamento che lui ci ha lasciato: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15,12). Non ha detto: “come vi amerò…”, pensando alla sua morte in croce.

“Come vi ho amato…”: aveva appena lavato i piedi ai suoi discepoli. A quel tempo, era un servizio riservato agli schiavi.

Amare come lui ci ha amato vuol dire voler mettersi a servizio degli altri. Ricevere la comunione, allora, vuol dire accettare Cristo come fonte di vita in me, per diventare a mia volta fonte di vita per gli altri.

Ogni volta che ci facciamo fonte di vita, ogni volta che facciamo il bene gratuitamente, ci comportiamo come Dio si comporta con l’umanità: realizziamo qualcosa di divino! Ci progettiamo fin da questa vita per l’eternità, ci predestiniamo alla pienezza di vita in Dio, dopo questa vita! C’è qualcosa di più bello?

Se ci pensiamo sul serio, se abbiamo presente ciò che Dio vuole e Gesù è venuto a rivelarci inaugurando il Regno: una realtà nella quale, proprio perché riconosciamo Dio come padre, viviamo da fratelli che fanno il bene gli uni per gli altri.

Se capiamo questo, ci sarà chiaro pure che la vera esperienza del Signore, che non lascia spazio ad illusioni, non si fa pregando, contemplando, ma facendo il bene.

E' chiaro che, senza la preghiera – che è l’accogliere il Signore in me, sentirlo presente e soprattutto ringraziarlo – sarà difficile superare uno stile di vita fondato sul “prima a me e, se ne avanza, anche a te”.

Mi convinco ogni giorno di più che ciò che fa in modo che il Signore si prenda cura di me non sono tanto preghiere speciali, devozioni particolari, ma l'essere in sintonia con l’agire di Dio. Semplificando, ogni volta che io mi preoccupo del bene dell’altro, ogni volta che mi dedico a far star bene una persona, entro nella sfera dell’agire divino e il Signore si prende cura di me. E siccome riconosco e accetto lui come Padre, accettando le persone come mio fratello o mia sorella, lui agirà come Padre nei miei confronti. E come fa un papà? Se un papà vede che suo figlio corre qualche pericolo o sta per affrontare una seria difficoltà, non si precipiterà forse per evitare il pericolo o la difficoltà di suo figlio? Quale papà starà ad aspettare, per vedere come il figlio sa cavarsela? Quale papà aspetterà che il figlio gli chieda aiuto, se può evitare, nel suo sorgere, il pericolo o la difficoltà? E Dio, amore infinito, aspetterà forse che un figlio si trovi in pericolo e trasformi la coscienza del pericolo in preghiera per soccorrerlo? Io sono convinto di no! Per un figlio che lo riconosce come padre accettando e aiutando i suoi fratelli con generosità e gratuità, farà tutto, prima ancora che il figlio gli chieda aiuto. Lui saprà come fare, e non occorre nessun miracolo, darà ispirazioni per evitare il pericolo ancor prima che appaia, suggerirà come evitare un problema ancor prima che la persona ne prenda coscienza.

E nei casi nei quali il problema ormai è tanto grave che umanamente non può esserci più soluzione, darà la forza necessaria per affrontare la situazione e continuare a sentirsi amati da lui. Ho sperimentato questo con mia mamma, ricoverata in ospedale a Cles con il cancro, immobile su undici cuscini: aveva sempre una parola di speranza e di incoraggiamento per tutti coloro che andavano a trovarla. Molti andavano a farle visita prima di entrare in sala operatoria. Alla messa del funerale ho dovuto dire che chi è uscito triste da quella stanza numero 20 lo fece perché si era portato via la tristezza con cui era entrato.

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