Aspettando l’autunno

La politica italiana entra nella consueta fase agostana: tempo di provocazioni, dichiarazioni, sortite per vedere l’effetto che fa. Le cose serie e impegnative sono rinviate alla ripresa autunnale dei lavori parlamentari, anche se non si sa bene come il parlamento potrà gestire una mole notevole di provvedimenti legislativi lasciati a metà (approvati da una sola delle due Camere) e di scadenze a cui non può sottrarsi, in primis la legge d stabilità, ovvero quella che fissa il bilancio dello stato.

Quest’ultima è il vero scoglio su cui rischia di naufragare la legislatura. La ragione è presto detta: in ogni contingenza di questo tipo che si presenta alla vigilia di elezioni, e di elezioni difficili, ogni partito cerca l’occasione per accreditarsi con le forze che spera lo sosterranno e più in generale con l’opinione pubblica nel suo complesso.

Gli spazi di manovra non sono grandi, vista la situazione del nostro debito pubblico e la necessità di fare almeno alcuni investimenti strategici, ma tutti cercheranno di forzare i limiti esistenti. Se in astratto ci si riempie la bocca della necessità di fare investimenti produttivi, in concreto i politici sanno che con operazioni di quel tipo non si raccoglie un grande consenso. Quello lo si trova lisciando il pelo alle corporazioni piccole e grandi che continuano a prosperare nel paese e cavalcando un po’ di umori della pubblica opinione, non importa quanto possano essere grossolani.

Nel gioco della delegittimazione reciproca che ormai ha colonizzato quasi tutto il discorso pubblico, lo spazio che i politici hanno per sottrarsi a questo gioco perverso è oggettivamente esiguo. Si tenga anche conto che quasi tutti i partiti sono in fibrillazione permanente perché l’incertezza della futura distribuzione dei consensi mette a rischio moltissimi posti (specialmente delle forze che in questa legislatura avevano profittato del premio di maggioranza: si calcola per esempio che probabilmente il PD potrebbe avere all’incirca un centinaio di parlamentari in meno). Si aggiunga che la convinzione che va diffondendosi, non senza ragione, che molti elettori preferirebbero votare per volti nuovi presi fuori dei circoli dei politici di professione sta facendo ipotizzare ricambi abbastanza cospicui nelle candidature per far posto a quelli che potrebbero essere presentati come i rappresentanti della società civile (anche se molte volte sono belle statuine che rappresentano un teatrino più che una realtà sociale).

Affrontare le scadenze autunnali con una classe politica che in misura cospicua è preda di una continua crisi di nervi per l’incertezza del proprio futuro non costituisce il miglior contesto che ci si potrebbe augurare.

Tutto sembra legato alla riforma delle legge elettorale, ma è una illusione ottica. Per buone ragioni sostanzialmente nessuno fra i partiti maggiori vuole una legge che li sottragga agli orizzonti del proporzionalismo che è di fatto instaurato dalle sentenze della Consulta. I lettori non si lascino influenzare da quelli che predicano le virtù delle coalizioni: in questo momento non servono a nessuno, se non a qualche piccolo partito. Per i grandi infatti coalizzarsi non consentirebbe loro di raggiungere il fatidico 40% previsto attualmente per il premio di maggioranza, mentre incrementerebbe al loro il distacco dagli elettori “duri e puri” che ci sono in ogni partito. Una coalizione FI-Lega non farebbe certo aumentare la somma dei loro voti, ma semmai la vedrebbe diminuire perché per non scontentare l’alleato sia FI che la Lega dovrebbero smussare e rivedere contenuti identitari, il che significa perdere consensi. La stessa cosa, anzi peggio, si può dire di una coalizione PD-Sinistre.

Semmai le coalizioni si faranno ad urne chiuse, quando si valuterà se e quanto convenga sommare in parlamento i deputati di cui ciascuno dispone, in quel momento senza fare gli schizzinosi per raggranellare più voti di maggioranza possibile (ma a stare ai sondaggi non si arriverebbe comunque alla governabilità).

Queste cose i partiti le sanno benissimo per cui si guardano bene dal fare più che un po’ di fuochi d’artificio, rimandando la soluzione dei problemi a quando, secondo loro, il quadro sarà più chiaro. Noi, poveri osservatori di provincia, ci permettiamo di esprimere dubbi sulla possibilità che si arrivi a queste chiarificazioni, per cui c’è da aspettarsi un autunno piuttosto complicato.

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