La crisi del rinvio infinito

C’è un sostanziale accordo per portare avanti la legislatura e incassare il passaggio di qualche altro provvedimento bandierina, trofeo da esibire agli elettori

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E’ quasi certo che neppure questa volta ci sarà alcuna crisi di governo. Salvo situazioni che sfuggano di mano, ovviamente. I due azionisti del governo litigano per occupare la scena mediatica (riuscendoci, salvo iniziare a stancare la gente), ma non hanno interesse ad andare ad elezioni anticipate: Di Maio perché i sondaggi continuano a dare il suo movimento in calo di consensi, Salvini perché non è sicuro di ottenere uno scioglimento in condizioni a lui favorevoli, visto che si deve fare la legge di bilancio ed anche che non si sa bene cosa abbiano in mano coloro che muovono le rivelazioni su un certo sottobosco che gira intorno alla Lega.

Veri scogli non ne esistono. Come ha fatto notare l’on. Ceccanti del PD, che è molto competente in materia di regolamenti e tattiche parlamentari, i due appuntamenti alle Camere in cui la maggioranza potrebbe andare sotto sono meno fragili di quel che i media lasciano intendere. Al Senato sul decreto sicurezza per l’approvazione basta un voto in più dei contrari (e con la riforma del suo regolamento le astensioni non valgono come voti contrari) sicché non c’è bisogno di avere la maggioranza della fiducia, che avrebbe un margine solo di alcuni pochi voti (e non si capisce perché si sia ventilata l’ipotesi di metterla; costringerebbe a verificare la maggioranza, cosa poco vantaggiosa). Insomma i dissidenti grillini, ammesso che si facciano vivi, possono fare ben poco e saranno rimpiazzi per esempio da Fratelli d’Italia. Quanto alla mozione o quel che sarà sulla TAV si tratta di puri atti di testimonianza che non hanno la qualificazione per ribaltare una legge e un trattato internazionale. Significa, in soldoni, che potrebbe anche esserci un quadro in cui ci sono più mozioni di gruppi diversi a favore della TAV, sicché ciascuno vota la sua e si libera Salvini dall’accusa di aver fatto comunella col PD e FI.

Tutti questi sono giochetti parlamentari: importanti, per carità, ma non tali da darci il vero quadro della situazione. Questo è costituito da un sostanziale accordo, fin che si potrà, per portare avanti la legislatura in modo da incassare il passaggio di qualche altro provvedimento bandierina, in modo che ciascuno dei due dioscuri possa presentarsi alle scadenze elettorali certe (le regionali in Emilia Romagna e in Calabria) e a quella che prima o poi arriverà (lo scioglimento anticipato della legislatura: adesso ipotizzato fra febbraio e marzo) con qualche trofeo da esibire ai propri elettori.

La partita più grossa è quella sulle autonomie differenziate. Per la Lega è essenziale che passi, ma ci sono non poche difficoltà che si concretano in opposizioni, in parte strumentali e in parte no, alla solita legislazione alla garibaldina in cui si distribuiscono poteri senza immaginare un quadro entro cui regolamentarli.

I Cinque Stelle, partito ormai prevalentemente meridionale, cavalcano la protesta del Mezzogiorno, ma si profila la solita “quadra” all’italiana: facciamo passare le autonomie differenziate per il Nord e il Sud in cambio riceverà un “piano Marshall” per il suo sviluppo. Sembra sia il presidente Conte a gestire la partita, anche se Di Maio cerca di attribuirsene l’intero merito.

Ora di cosa temiamo si tratti in realtà? Di una bella quota di finanziamenti da destinare alle regioni meridionali, cioè esattamente a quegli organi che sino ad oggi hanno dimostrato una ragguardevole incapacità a spendere in investimenti, ma una parallela grande capacità a divorare risorse in senso spartitorio. E’ chiaro che una soluzione di questo genere sembra salvare capra e cavoli, ma in realtà mette ulteriore veleno nei circuiti già scassati della nostra vita pubblica.

Può darsi che da una operazione del genere Di Maio raggranelli qualcosa in termini di consenso, ma Salvini ci guadagnerà molto di più, perché potrà presentarsi come quello che con una mano dà al Nord, ma con l’altra si ricorda del Sud, dove sta costruendo una presenza da non sottovalutare, perché non ha la palla al piede degli ideologismi fasulli del grillismo che mal si raccordano con classi dirigenti che vogliono libertà di spendere. Quanto questo gioverà al leader della Lega nella prossima tornata di elezioni regionali è intuitivo, visto che si vota in Emilia Romagna, regione che ha chiesto l’autonomia differenziata, e in Calabria, regione dove un po’ di risorse del cosiddetto piano Marshall sono attese come la pioggia dopo la siccità.

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