Governo, tregua armata tra Lega e Cinquestelle

Pur con qualche piccola ultima sceneggiata il governo è riuscito a varare al Senato la legge di Bilancio. Alla Camera, visti i numeri, il passaggio è scontato al di là del fatto che c’è la questione di fiducia. Alla fine è venuto fuori il solito malloppone (oltre 300 pagine di testo) in cui si è infilato di tutto. La presidente Casellati è giusto riuscita ad evitare l’appiccico in extremis di un emendamento dei Cinque Stelle sulla cannabis leggera: è giustissimo che la materia non c’entrava niente, ma per la verità di norme che non c’entrano niente ce ne sono comunque in gran numero.

Seguiva un vertice notturno del governo (ormai sembra che solo le ore dopo le 21 siano adatte per quel genere di riunioni) in cui non si dovevano fare programmi, ma solo accordarsi sul provvedimento per le autonomie differenziate. Non si è arrivati ad un vero accordo neppure su quello. Tutto è rimandato a gennaio, forse nell’attesa che la Befana porti qualche potere magico per rappattumare una maggioranza la cui debolezza non accenna a sparire.

Il quadro rimane quasi fisso: quasi perché c’è una strana mossa di Salvini che non si capisce ancora quale valore abbia. Nella sostanza il leader della Lega lascia intendere una certa disponibilità ad esaminare un momento di tregua nello scontro politico per risolvere alcuni gravi problemi del paese e scrivere insieme una riforma elettorale concordata in modo da andare poi in maniera ordinata alla verifica delle urne.

E’ una proposta ragionevole o solo una mossa tattica per scrollarsi di dosso l’immagine dello sfasciapaese? Difficile rispondere se non si costringe Salvini a scoprire le sue carte, cosa che però la maggioranza attuale non è intenzionata a fare, perché la metterebbe in difficoltà. Infatti un risvolto pericoloso del passaggio potrebbe essere il varo di un governo “tecnico” di tregua: non è necessario, ma Salvini abilmente lo fa intravvedere lanciando lì la candidatura di Draghi come possibile premier. Questo ovviamente metterebbe fuori gioco Conte e anche Di Maio che come ministro non ha dato gran prova di sé.

Quanto alla legge elettorale siamo abbastanza lontani dal trovare un’intesa. Pesa ovviamente l’incognita su cosa sarà della riforma costituzionale del taglio dei parlamentari. Se davvero, come si vocifera, si arriverà al numero di firme di senatori necessarie per andare al referendum, si aprirebbe la possibilità di utilizzare ancora, nel caso di scioglimento delle Camere, l’attuale sistema elettorale che ha una bassa soglia di sbarramento e che è favorevole ai partiti minori. Inoltre consente a tutti di correre da soli senza necessità di coalizzarsi, ma soprattutto mantiene l’attuale numero di parlamentari: una prospettiva a cui i politici che fanno parte delle Camere attuali non sono certo indifferenti.

La situazione insomma è tutt’altro che stabilizzata. Aggiungiamoci che vicende come quella della Popolare di Bari sono mine vaganti. L’attacco scriteriato alla Banca d’Italia può far saltare il tappo del classico vaso di Pandora: nel caso della banca pugliese, come in quello di tanti comparti del nostro sistema creditizio a funzionare male sono le coperture che per decenni il nostro sistema politico, in senso davvero consociativo, cioè a prescindere dalle maggioranze di governo, ha fornito a tutta una rete di potentati locali che hanno giocato a fare i banchieri senza averne le competenze. Se si arriva a lavare in pubblico quei panni sporchi c’è da aspettarsi il solito festival dell’antipolitica. Peraltro non è giusto che per evitarlo si usino risorse della finanza pubblica in un momento di difficoltà.

Rimangono ovviamente aperti tutti i dossier caldi, a partire da quello sulla prescrizione che entrerà comunque in vigore a gennaio, anche se per una serie di questioni tecniche diverrà davvero operativa più avanti. Si consentirà così ai Cinque Stelle di avere la soddisfazione di vedere applicata la loro riforma, ma con un po’ di spazio per gli altri per qualche intervento che la azzeri. Come si capisce è un modo di lavorare che non porta lontano. Per far uscire il paese dalla sua stagnazione ci vuole ben altro.

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