Pandemia, una tregua di fatto nella politica italiana

Roma, 3 marzo 2020 – Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in serata ha incontrato a Palazzo Chigi i capigruppo di maggioranza e di opposizione

Si parla di una tregua di fatto che interessa la politica italiana. Al netto di qualche intemperanza comunicativa (ma come pretendere che i lupi oltre al pelo perdano anche il vizio?) l’emergenza per il Covid-19 induce i leader politici a misurare le parole. Mercoledì il premier Conte convoca i capigruppo di maggioranza ed opposizione per dare al paese l’immagine di una politica che nel momento del bisogno sa mettere da parte le polemiche strumentali. Vedremo come andrà a finire.

Al momento al centro dell’attenzione c’è la questione economica. I primi effetti della crisi già si vedono (lo spread schizzato in su già comporta una perdita finanziaria in termini di remunerazione del nostro debito pubblico), ma si temono quelli che arriveranno, perché nessuno sa quando si smorzerà l’effetto dell’epidemia e quanto tempo ci vorrà perché il sistema economico, italiano e internazionale, assorba il colpo. E’ per questo aspetto che non prevediamo se e quanto possa reggere la tregua politica momentanea.

Nell’immediato il governo interviene con provvedimenti tampone: poco più di tre miliardi e mezzo per fermare gli esborsi delle imprese e dei singoli per tasse, mutui e quant’altro e per dare qualche sussidio per le zone più colpite. A dire che è poco si fa presto, così come a sparare cifre: Salvini prima ha chiesto 10 miliardi poi è passato a 50. Qualsiasi cifra naturalmente è plausibile, basta intendersi sugli obiettivi, ma soprattutto su dove si prenderanno i soldi. Al momento è tutto un finanziamento in deficit e si è certi che l’Europa ci consentirà di sforare i famosi parametri. E’ più che probabile, ma non è che sia una gran soluzione: dal deficit bisognerà poi rientrare e non sarà un’impresa semplice.

Il vero problema del momento è infatti il medio periodo (per guardare al lungo ci vorrebbe un miracolo). A parole tutti sono d’accordo per uno sforzo eccezionale tanto che si impiegano parole forti: cura da cavallo, piano choc, nuovo piano Marshall e roba simile. Quando si tratterà di scendere nei dettagli cominceranno i guai.

Innanzitutto ci sarà un tema di distribuzione geografica degli investimenti. A soffrire in misura notevole è stato il Nord dove si concentra lo sviluppo italiano, ma non si può dimenticare che abbiamo già una situazione fortemente sbilanciata nella distribuzione delle risorse con pesanti penalizzazioni del Sud. Accentuare il divario fra le due parti d’Italia non può essere considerata una politica lungimirante, ma ovviamente non si può neppure consentire un deperimento del Nord che è il cuore produttivo del paese. Bilanciare le due esigenze richiederebbe davvero una capacità di visione e di creatività che non ci pare di cogliere nella classe politica.

E’ anzi prevedibile che si sviluppino le lotte dei partiti per la difesa dei propri clienti elettorali, oltre tutto con qualche problema alle viste per la tornata di elezioni regionali e locali di maggio-giugno. Non dimentichiamo che l’equilibrio fra le forze politiche è precario. Le tre maggiori sono in questo momento in posizioni complicate. La Lega non è più “Lega Nord”, ma ha in quell’area gran parte del suo elettorato, nonché il controllo praticamente di tutti i governi regionali (unica eccezione il Sudtirolo). Deve però espandersi al Centro e al Sud se vuole riuscire nella conquista del governo nazionale, sicché ha un problema di bilanciamento dei suoi interventi. I Cinque Stelle sono un partito messo male (anche alle recenti suppletive nel collegio di Roma 1 hanno registrato un’altra batosta) con un radicamento prevalente ormai al Sud, per quanto in contrazione. Come si comporteranno? Si aggiunga che sono carenti sia di figure di peso (si sarà notata la loro sostanziale assenza nel dibattito di queste settimane) sia di progettualità su un terreno come quello degli investimenti “pesanti” per le loro fantasie anti-sviluppo.

Poi c’è il problema del PD. Da un lato è rimasto il partito più “nazionale” nella struttura, ma dall’altro ha un problema con l’Emilia Romagna, regione chiave della sua attuale riscossa, ma anche regione toccata non poco dalla crisi indotta dal coronavirus. In più è un partito in crisi identitaria, che rincorre fenomeni che non si sa quanto solidi (le Sardine, attualmente in declino; il movimentismo dell’estrema sinistra), ma che al contempo mantiene una classe di sperimentati professionisti politici.

Le diverse esigenze di queste tre forze si incroceranno con le attività degli altri partiti, alcuni in forte espansione (FdI), altri in eterna fibrillazione (a cominciare da Italia Viva e FI, ma estendendosi a tutti i cespuglietti in campo). Insomma c’è da dubitare che la tregua politica regga a lungo.

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