Confusi verso la fase 2

Strasburgo: il Parlamento europeo

Un po’ perché i numeri migliorano, un po’ perché ci si rende conto che la gente fatica a rimanere chiusa in casa senza neppure il conforto di sentir parlare di una fine della clausura, il governo si è deciso a prendere in considerazione un cambio di orientamento. Lo sta facendo con molta cautela, ma ciò è comprensibile: poiché da Roma in giù il contagio è relativamente circoscritto, il timore è che l’ammissione di un rallentamento dell’epidemia incoraggi le violazioni delle regole che sono già molto frequenti, il che significherebbe un dilagare dell’epidemia anche in quelle zone.

Il problema da affrontare in senso più generale è duplice. Da un lato c’è la necessità di non bloccare troppo il sistema economico. I danni sono già notevoli per quei settori in cui, per varie ragioni, sarà impossibile ritornare in tempi contenuti alla normalità (turismo, ristorazione, varie attività di impiego del tempo libero). Qui si dovrà agire con sussidi massicci, ma anche col rischio di avere fenomeni di profittatori che si inseriscono nelle filiere. Dal lato opposto, proprio per evitare di dover sostenere in maniera eguale tutto, si deve rimettere in funzione il tessuto produttivo che è in grado di funzionare, non fosse altro perché è da questi ambienti che trova alimento anche il circuito della fiscalità, importante per dare allo stato almeno parte delle risorse che deve spendere.

Per confrontarsi con questa difficile situazione il governo avrebbe bisogno di alcune condizioni che non sono semplici da avere. La prima è un certo grado almeno di coesione fra le forze politiche, in modo da evitare che dai loro conflitti si inneschino tensioni sociali poi difficili da tenere sotto controllo. Qui però si rivela la prima debolezza del governo Conte. Nonostante le pressioni che vengono esercitate dal PD, che ha consapevolezza del problema, il premier in parte non riesce e in parte non vuole avviare la “cabina di regia” allargata che sarebbe necessaria. La ragione della resistenza è data sia dalla poca attrattività di una opposizione che non rinuncia ad approcci demagogici ai problemi in campo, sia dalla paura che hanno tanto Conte quanto soprattutto i Cinque Stelle di venire messi in ombra da una istituzione che li priverebbe del protagonismo di fare tutto da soli.

I Cinque Stelle, pur quasi scomparsi dal centro della scena politica, continuano ad esercitare condizionamenti sul governo e Conte ne è fortemente limitato (e qualcuno dovrebbe pur far notare quanto sia stata miope la speranza di Zingaretti e compagni di farne il perno della nuova fase italiana). Le difficoltà che sono venute da Di Maio e soci sui meccanismi di gestione della massa di liquidità che si è appena deciso di iniettare nel sistema produttivo è indicativa di una forza che nonostante tutto non riesce a maturare una versione di governo. I giudizi dei tecnici sulla loro impuntatura di affidare alla SACE la gestione degli aiuti da distribuire non sono stati positivi: quell’ente non appare molto attrezzato per un compito tanto ampio e delicato e il compromesso trovato alla fine è un pasticcietto nel solito stile di Conte che risolve i problemi dando un mezzo contentino a tutti.

Teniamo conto che questo stile di soluzione dei problemi è stato esibito proprio mentre si entrava nella difficile negoziazione degli interventi straordinari europei. Sono aiuti di cui l’Italia ha assoluto bisogno, per quanto sia giusto che lavori per ottenerli senza condizioni capestro, che, fra il resto, non servono a nulla. Però proprio per questo non ha molto senso impuntarsi sul rifiuto dell’uso del MES, giusto perché i grillini ne fanno una questione di principio (e subito Salvini si offre di metterci sopra il cappello). Una maggiore duttilità negoziale gioverebbe, così come il realismo di comprendere che senza qualche garanzia sul modo con cui impiegheremo quei fondi faticheremo a trovare alleati. In Europa si sa benissimo quanto la nostra spesa pubblica sia gravata tanto da incapacità burocratiche, quanto da abitudini ampiamente diffuse al clientelismo.

Poter disporre di qualche “vincolo esterno”, come si usava dire una volta, dovrebbe essere valutato come non così negativo anche da parte del governo e della sua maggioranza: darebbe loro modo di resistere efficacemente alle prevedibili richieste di un uso diciamo così disinvolto delle risorse che ci verranno affidate. Perché se invece si imponesse quel genere di utilizzo sarebbe il classico chiodo piantato sul coperchio della bara in cui finirebbe rinchiusa la nostra possibilità di ripresa.

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