L’ultimo commiato di pietà anche per chi non è presente

Funerale al cimitero di Trento. Foto Gianni Zotta

Lo spunto

Sento continui ringraziamenti per medici, infermieri … e altre professioni d’assistenza, ma non ho mai sentito nessuno che ringrazia i necrofori, sì, i becchini. 

Se c’è un lavoro delicato, perché non saprei come definirlo in altro modo, penso sia proprio questo. In questo tempo in particolar modo.

Perché? Forse per esorcizzare la paura della morte?.

E’ da un po’ che mi assilla questo pensiero. Forse perché c’è il figlio, giovane, di una mia amica che fa questo lavoro e lo fa con una grande dignità. 

Per lui e per tutte le persone che si prodigano per vestire, preparare e seppellire tutte le salme che ci sono, purtroppo, in questo periodo, per i rischi che corrono… mi piacerebbe che venissero ricordati e ringraziati. Ecco, mi farebbe piacere sentire un parere. Auguro a tutti i lettori ogni bene per i giorni a venire. Buona settimana. Che sia veramente Santa verso la Pasqua.

Annamaria Magnago – Levico

Il virus ha “distanziato” i contatti fra le persone nei loro rapporti diretti, ma ha “ravvicinato” la società al confronto con l’unica certezza che la vita presenta: quella di dover morire.
Le statistiche sono diventate non solo un bollettino tragico di cifre e di croci, ma una ferita aperta negli affetti, nei sentimenti, nei ricordi di ognuno per un parente, un amico, un conoscente che il morbo s’è portato via.
Quasi diecimila sono stati i morti per coronavirus in Italia e ai limiti del “picco”
si potevano contare settecento, ottocento vittime al giorno. Il New York Times ha scritto che nella grande metropoli l’amministrazione pensa di scavare fosse comuni nei parchi (Ansa di martedì 7 aprile) e la Repubblica ha pubblicato le foto dei sacchi “depositati” al Trivulzio di Milano. Non sono particolari macabri, sono la constatazione che la nostra società, dopo averla esorcizzata fingendo di poterla sempre vincere con la scienza, è chiamata a fare i conti con quella che san Francesco chiama (nel suo “Cantico delle creature” e quindi inno alla vita) “sora nostra morte corporale”. Quella che i Baschenis, nel Quattrocento, dipingevano – usciti dalla terribile pestilenza europea – in “danze” che accomunavano nel destino finale tutte le classi sociali, re e papi, cardinali e principi, ricchi e mendicanti …, ma li raffiguravano sulle chiese (San Vigilio a Pinzolo, Santo Stefano a Carisolo …) perché tutte le vittime, senza distinzione, venissero comprese nella loro dignità – per ciò che sono state amate – in una comune pietà.

E’ la pietà di cui si fa memoria in questa settimana che dalle Palme (dagli osanna, al tradimento, all’abbandono, alla morte in croce di Gesù) porta alla resurrezione di Pasqua. E allora, non solo è giusto, ma espressione di piena empatia umana, ricordare fra i mestieri “dimenticati”, spesso sottostimati ma in realtà, come si rivelano in questi giorni, i più necessari e preziosi alla tenuta sociale e alla stessa sopravvivenza (dai contadini alle inservienti delle case di riposo … per non dire dei medici che già contano fra di loro oltre 80 vittime in Italia) anche quanti si occupano di dare dignità all’ultimo passaggio di quanti ci lasciano.

Il Trentino può rivendicare una profonda civiltà nei suoi servizi cimiteriali – sobri, partecipati, senza ostentazione – sia pubblici (il Comune di Trento) che privati. Sono servizi che si basano soprattutto sulla disponibilità e sulla consapevolezza delle persone che vi si dedicano.

In questi giorni, nei quali per ragioni di prudenza il divieto di riunirsi impedisce di partecipare ai funerali, sono spesso questi uomini che si prendono cura di dare ai defunti l’ultimo saluto. Lo fanno anche per noi. Non assolvono solo a un compito necessario verso chi se ne è andato, ma di consolazione verso chi resta.

Del resto il virus costringe a cambiare atteggiamento anche verso la morte, con dolore e pietà, senza esorcizzarla. Nella tradizione cristiana erano numerose le “confraternite” di uomini e donne devoti che aiutavano la “buona morte”. Oggi, in questa pandemia del virus, con aspetti adeguati ai tempi, è ritornato il pensiero di quelle presenze consolatorie, di speranza. Domenica, dopo la lettura della Passio evangelica, nella cattedrale vuota (ma piena di preghiere e attese che si estendevano alle case) l’arcivescovo Lauro ha ricordato come anche Gesù sia stato sepolto in modo “frettoloso” nel sepolcro, “prestato” ai discepoli, da cui poi sarebbe risorto, mentre alle esequie di un religioso molto amato dai trentini, il frate cappuccino padre Butterini, sepolto a Rovereto, un fedele, vista l’impossibilità di molti ad esserci, ha ripreso il commiato in un breve video che è poi girato sui telefonini. Sono segni di partecipazione e di speranza. Sono anche segni che dicono come questi “lavori dimenticati”, una volta finita l’emergenza, dovranno essere riconosciuti non solo con gratitudine, ma anche nella loro piena importanza sociale ed economica.

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