Scuola: la buona educazione è importante quanto imparare

Lo spunto

E’ forse opportuno approfittare della dura prova che la scuola sta affrontando per rivedere i suoi “fondamentali” e precisare prassi e comportamenti a volte troppo sottovalutati. Anche il primo ottobre scorso (che per generazioni di ragazzi e ragazze è stato il primo giorno di scuola, e al mattino si incontravano i nuovi compagni mentre al pomeriggio si foderavano a casa – “home-work” manuale – i quaderni) quattro classi sono state costrette all’isolamento. Pesante. Ma in classe, perché ci si va?’ Francesco Provinciali, ora editorialista di “Mente Politica”, scrive in questa nuova lettera a “Sentieri” che la scuola serve ancora innanzitutto a “imparare a leggere, a scrivere e a far di conto: che vuol dire ascoltare, imparare, ricordare”, che sono anche le fondamenta della buona educazione, perché esprimono insegnamenti che servono a relazionarsi, a comunicare. Dire “relazionarsi” fa capire perché l’educazione è parte essenziale dell’insegnamento. Relazionarsi, infatti, significa apprendere ed esprimere “le” libertà che sorreggono una società armoniosa e giusta. “Le” libertà (di parola, di lavoro, di movimento …) non una generica e confusa “la” libertà”, che spesso vede “diritti” sovrastare i doveri e sfocia poi nell’arbitrio, o nella prevaricazione. Invece ogni “mia” libertà si ferma dove finisce la libertà dell’altro.

Per questo va imparata la buona educazione che significa proprio rispettare le sensibilità dell’altro.

Quanto al far di conto il discorso sarebbe lungo. Capita spesso nei negozi di ricevere resti sbagliati a fronte di piccole somme, con le commesse che ricorrono al computer-calcolatore anche per operazioni elementari. Troppo “smart work” e poca memoria di caselline?

(f.d.b.)

Nel secondo dopoguerra il compito principale della scuola fu quello di alfabetizzare il Paese, insegnando a “ leggere, scrivere e far di conto”, per elevare il livello culturale della popolazione, esistendo ancora sacche di analfabetismo specie nelle classi sociali più povere. Ma insegnare a leggere e a scrivere non significava solo possedere l’alfabeto, ma usare queste due abilità per comunicare e socializzare. Quanto al far di conto era da intendersi come capacità di “misurare e commisurarsi” rispetto a un mondo che stava crescendo in modo vertiginoso.

Si è sempre dibattuto sul fatto se la scuola dovesse essere luogo di vita o di preparazione alla vita.

Quando è finito il tempo del suo monopolio educativo e sono subentrate altre agenzie formative (fino all’esplosione di internet) ci si è resi conto che sono vere entrambe le cose. La scuola è contesto di vita perché è ambito di incontri e relazioni umane, ma è anche luogo di preparazione alla vita poiché apre a nuove conoscenze e dura per l’intera esistenza.

Il sistema scolastico si è evoluto, organizzato, istituzionalizzato, sono cresciute esigenze e aspettative: chi insegna sa quanto sia difficile non solo stare al passo con l’evoluzione scientifica e la presenza del web, ma quanto sia impegnativo trovarsi al crocevia di scelte da compiere e saper imboccare la giusta strada, facendo sintesi delle varie forme di conoscenza e di saperi.

Attraverso l’uso delle nuove tecnologie si entra in possesso di una molteplicità di chiavi per l’accesso alla realtà: diamo a tutto questo il nome di “istruzione”. Ma alla scuola spetta un compito eticamente più elevato: quello di “educare”, che non si riduce al possesso di dati e nozioni.

Per questo l’aspettativa sociale è che la scuola formi menti critiche, libere e aperte e impartisca una buona educazione sentimentale come mezzo per costruire relazioni umane positive e votate al ben comune.

Come disse Rita Levi Montalcini- il pensiero, l’immaginazione, la mente umana sono potenzialmente più importanti delle scienze codificate poiché utilizzano il dubbio come fonte di conoscenza e di conquiste di nuovi apprendimenti. E’ l’uomo, la persona, che sta al centro delle finalità educative.

Perciò la buona educazione che la scuola deve trasmettere si distingue dalla miriade di “input” formativi che vengono dall’esterno, a cominciare dalla rete stessa dove spesso i ragazzi si perdono non avendo riferimenti né orizzonti. Ascoltare, imparare, ricordare: sono queste le buone abitudini che i ragazzi devono acquisire.

Comportano rispetto per chi insegna, impegno nello studio, il dovere della memoria: un metodo insomma, che altrove non c’è. Si dovrebbe anche incominciare dagli insegnamenti domestici. Enzo Biagi mi disse: “di tutto ciò che ho ascoltato nella mia vita le cose veramente importanti che mi sono rimaste impresse e utili sono quei tre o quattro insegnamenti ricevuti da mio padre e mia madre”. Ne deduco che la scuola potrà essere la seconda famiglia quando la famiglia tornerà ad essere la prima scuola.

Francesco Provinciali

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