Un Paese che si va dividendo, tra assistenzialismo e sostegno al sistema produttivo

Strade e autostrade deserte durante il lockdown. Foto Gianni Zotta

Altro che solidarietà nazionale: l’Italia è sempre più percorsa da spaccature profonde. Certo il paese sinora risponde bene all’allentamento delle misure di quarantena, anche se non proprio in maniera così integrale come alcuni vorrebbero far credere. Senza buttarsi in una sorta di disobbedienza generalizzata, perché poi la gente sa quel che si rischia, le disposizioni sono applicate con quel tanto di buon senso che non guasta nonostante isterie varie (possiamo testimoniare di un vicino ipocondriaco che ha chiamato i vigili per sanzionare per assembramento quattro bambini sotto i 10 anni che giocavano a calcio nel cortile condominiale – e i vigili era imbarazzatissimi, poveracci).

La spaccatura riguarda il futuro che ci aspetta e si risolve in una contrapposizione manichea fra assistenzialismo e sostegno al sistema produttivo. Non ci dovrebbe voler molto per capire che sono necessarie tanto misure di sostegno a chi è in difficoltà quanto investimenti a disposizione di un sistema produttivo che rischia di collassare. Solo con denaro a pioggia agli individui si rischia di esaurire in breve le risorse e di trovarsi poi ad imporre a tutti un sistema di lacrime e sangue come è avvenuto in Grecia. Su questo ha ragione il nuovo presidente di Confindustria Bonomi. D’altronde non si può immaginare che nell’attesa di una ripresa del sistema produttivo sostenuto da massicci finanziamenti, quelli che ci lavorano, ma anche quelli che sono acquirenti dei beni prodotti, vengano lasciati in condizioni di miseria.

E’ banale dire che va trovato un equilibrio fra le due modalità d’intervento, ma non si tratta di una soluzione facile per alcune ragioni che cercheremo di spiegare. La prima è che viviamo in un paese che non dispone di adeguati strumenti di conoscenza della sua realtà. Con le dimensioni dell’economia sommersa, per non parlare di quella criminale, è un rebus capire chi è davvero bisognoso di aiuto perché non ha più fonti per le entrate e chi invece può sommare questi aiuti a redditi nascosti che continuerà a percepire. Aggiungiamoci che abbiamo anche avuto in anni passati una economia drogata che ha visto poter fiorire imprese, in genere piccole, ma non solo, che, avendo fatto relativa fortuna grazie a vari benefici dell’epoca delle vacche grasse, non sono in grado di sopravvivere in condizioni di difficoltà di mercato. Forse una qualche riflessione andrebbe fatta sul perché sembra che una buona parte di imprese che avrebbero diritto ai famosi finanziamenti garantiti non ha fatto domanda: c’entrerà sicuramente anche una certa disaffezione a fronte del mare di carte da esibire, ma forse c’è altrettanto il fatto che molti pensano di non farcela più nelle condizioni mutate e non si vogliono intrappolare in finanziamenti che non potranno restituire (la garanzia dello stato vale per le banche prestatrici, non solleva dalle responsabilità chi ha avuto il finanziamento).

In questo panorama difficile si muovono non solo i partiti, ma anche le varie potenti burocrazie che hanno guadagnato molto potere e posizioni nei lunghi anni passati di instabilità politica. I partiti, di governo o di opposizione fa poca differenza, sono alla ricerca di quello che in termini tecnici si chiama patronage. E’ il rovescio del normale: di solito sono i vari gruppi di interesse che cercano un protettore politico, mentre ora sono i partiti a correre in giro ad offrire protezione ai vari gruppi sociali. Ne sta uscendo una discreta confusione che da un lato vede contrasti continui all’interno della coalizione di governo, dove il premier non riesce a tenere nulla sotto controllo, mentre dall’altro l’opposizione per lo più aizza i vari risentimenti, per non dire le paure che corrono fra la gente costretta a chiedersi quale sarà il suo futuro.

Tutto si complica nelle competizioni fra le varie burocrazie dei ministeri. Alcune sono strutturali, altre sono occasionali, chiamate dai titolari attuali alla loro corte. Tutte danno pareri, non sempre veramente fondati, e il ministro di turno, specie se novellino, si butta ora sull’uno ora sull’altro secondo ciò che gli pare più conveniente. Poi magari succedono i pasticci, come nel caso del ministro Bonafede, gran reclutatore di “personaggi” per conto dei grillini (Conte è una sua acquisizione), il quale oggi paga il prezzo di essersi speso ad esaltare il procuratore Di Matteo: il suo ex alleato si è risentito per non essere stato messo a suo tempo al vertice del sistema carcerario ed ora gli rifaccia di non aver ottenuto quel posto perché il ministro si è spaventato delle reazioni dei capi mafia. Una brutta storia da cui nessuno dei due esce bene, ma che è emblematica dei molti conflitti sotterranei che abitano di queste tempi le stanze dei palazzi romani e non solo romani.

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