Silvia liberata in una Somalia fallita

Silvia Romano in famiglia. Foto ANSA/SIR

La liberazione di Silvia Romano in Somalia ha riportato l’attenzione dei media su questo sfortunato Paese che dal 1991 è preda di una sanguinosa e interminabile guerra civile. E’ proprio dalla caduta del dittatore del tempo, Siad Barre, che i signori della guerra somali si contendono a suon di stragi porzioni del territorio e di potere.

Vive ancora nella memoria collettiva il televisivo sbarco, stile Normandia, di un migliaio di marines americani sulle spiagge di Mogadiscio, la capitale. Con una delle prime operazioni militare mediatiche dei nostri tempi, sotto l’occhio di telecamere e reporter da tutto il mondo, l’allora presidente George Bush senior, a fine mandato nel dicembre del 1992, volle dimostrare la determinazione dell’America, gendarme del mondo, di porre fine ad un conflitto in un fragile paese sottosviluppato.

Il risultato drammaticamente negativo è ancora oggi sotto gli occhi di tutti, malgrado il suo successore Bill Clinton avesse deciso un precipitoso ritiro dopo l’ennesima carneficina di marines. La Somalia è uno “Stato fallito” con l’aggiunta di un fortissimo movimento terrorista, gli Al Shabaab, grandi e potenti alleati di Al Qaeda per l’Africa. Terroristi che nascono dalle Corti Islamiche che all’inizio del 2000 erano arrivate ad un passo dal conquistare Mogadiscio e l’intera Somalia, per essere poi parzialmente sconfitte nel 2006. Da lì in poi è cominciata, da una parte, la feroce pirateria contro mercantili e petroliere nel golfo di Aden e nel Mar Rosso, dall’altra, i sequestri di ostaggi a scopo di estorsione.

E’ in questo allucinante scenario che è vissuta la nostra cooperante e in cui hanno dovuto operare i nostri 007 per riuscire ad ottenerne la liberazione. Scenario reso ancora più complicato dall’intervento e dall’influenza di potenze esterne su una Somalia priva di una propria capacità di governo e in balia degli interessi altrui. Va infatti considerata la posizione geografica della Somalia, Paese chiave del Corno d’Africa per il controllo del commercio marittimo dall’Asia verso l’Europa e viceversa, nonché dirimpettaia di un altro Stato fallito, lo Yemen, alle prese con un prolungato conflitto con l’Arabia Saudita. Riad, infatti, teme atti terroristici che interferiscano con i propri traffici petroliferi, che passano proprio per il golfo di Aden sul quale si affacciano i due paesi in crisi. Così gli americani continuano dalle loro basi nel confinante Kenya ad inviare droni armati di missili per colpire i capi del terrorismo islamico. I cinesi si insediano nella vicina Etiopia e costruiscono con migliaia di propri operai ferrovie e strade che attraverso Gibuti arrivano nello stesso cruciale braccio di mare che fa gola a tanti.

Ed infine è arrivata in tempi recenti anche la Turchia a complicare ancora di più i giochi geostrategici nella regione. In effetti, uno degli aspetti singolari legati alla liberazione dietro pagamento del riscatto di Silvia Romano è l’intervento degli 007 di Ankara. Può sembrare strano che da quelle parti sia arrivata anche la Turchia, ma ciò risponde alla ambiziosa strategia di Recep Erdogan di penetrare in Africa approfittando delle situazioni di conflitto in stati indeboliti, come è appunto la Somalia o, in tempi più recenti, la Libia, dove il Sultano turco ha deciso di intervenire addirittura militarmente in sostegno del governo di Tripoli.

Ankara ha in realtà colto l’opportunità offerta dall’incertezza di un altro attore importante, l’Unione europea, che non ha saputo in tutti questi lunghi anni portare a termine un disegno di pacificazione nel Corno d’Africa, Somalia compresa. Malgrado l’UE sia di gran lunga il massimo contributore e donatore di fondi per lo sviluppo del continente africano, essa non ha mai saputo affrontare con la dovuta decisione i conflitti nei paesi in crisi, né in Somalia né tanto meno in Libia. Parzialmente ha cercato di farlo l’Italia che in Somalia ha, come è noto, interessi storici.

Fra il 2003 e il 2009 il nostro governo aveva addirittura nominato un proprio inviato speciale per il Corno d’Africa, il trentino Mario Raffaelli, che aveva cercato con grande energia di mediare la pacificazione somala con le Corti islamiche. Ma di fronte all’ostilità americana e all’assenza dell’UE, alla fine questa posizione diplomatica non è stata rinnovata. Oggi, quindi, come dimostra la vicenda di Silvia Romano, la nostra intelligence ha dovuto rivolgersi a quella turca per portare a buon fine la liberazione. Un’Italia sola, in un’Unione indifferente e riluttante ad agire, ha già fatto un mezzo miracolo per salvare la vita di un proprio cittadino.

 

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