La presenza che rimane

Fate discepoli i popoli

Domenica 24 maggio – Ascensione del Signore

At 1, 1-11; Sal 46; Ef 1, 17-23; Mt 28, 16-20

Celebriamo oggi la festa dell’Ascensione di Gesù. E il Vangelo di Matteo ci riporta in Galilea, dove tutto era iniziato, come a ricordare la necessità di fare memoria, di ritornare alle radici, di rileggere la sua vicenda storica, ripercorrere i suoi insegnamenti e comprendere a fondo il significato delle sue scelte e delle sue opere.

Due sono le reazioni degli apostoli: la prima, racconta l’evangelista, è «prostrarsi» davanti a Gesù. Non è più soltanto il loro amico, con il quale avevano condiviso momenti di gioia intensa e altri di grandi sofferenze e incomprensioni, ora è il Risorto, il loro Signore e il Signore della storia. Gli apostoli devono sperimentare d’ora in poi nella loro vita il Dio che si è fatto uomo, attraverso il mistero della sua persona, ricordando e rivivendo quello che Lui ha detto e fatto. Quindi non più attraverso la fisicità della sua presenza.

Così sarà per i cristiani: non lo vedranno più, ma Lui è stato una benedizione per la nostra terra. Ora tocca a coloro che accolgono il suo invito a seguirlo a fare rivivere questa benedizione attraverso la testimonianza della vita. E dunque non certo attraverso un profluvio di parole e di documenti, ma «attraverso una vita in cui sia impigliato qualcosa di Gesù, qualcosa dei suoi pensieri, delle sue passioni, dei suoi gesti». (A. Casati)

L’invito è alla concretezza: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto al cielo, verrà allo stesso modo in cui lo avete visto andare in cielo». (At. 1,11) Gesù è il solo Signore della comunità cristiana, il centro per tutti i fedeli. Guardare Gesù che sale al cielo vuol dire che non ci sono altri idoli a cui affidarsi, altre apparizioni o fenomeni celesti che possano spostare l’attenzione. C’è bisogno soltanto della sua presenza: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt.26,20). Sì, è con noi sempre, e non dobbiamo aver paura, per ricordare la cronaca recente, anche se le chiese talvolta restano chiuse e condividono la stessa situazione che vive il mondo, costretto anche lui a vivere con piazze e strade deserte, con scuole, giardini e musei chiusi.

Non è conformismo ma un atto d’amore, non è debolezza, ma saper attendere con pazienza e fiducia, ascoltando e meditando le parole che il Signore ci rivolge anche in questi tempi. Può succedere, però – ed è questa la seconda reazione che hanno gli apostoli – che il dubbio si impadronisca di alcuni, si scoprano tutt’altro che eroi. Nel giorno della sua ascensione, poco prima di lasciarli, Gesù si trova davanti un gruppo di discepoli che dimostrano di aver capito davvero poco. Sono lì con l’ossessione di ricostruire un regno! Questo chiedono ancora ed è davvero lontana da loro l’idea della testimonianza. Ma di testimonianza c’è bisogno anche e soprattutto oggi, di trasformare questa parola in esperienza vitale. Lungo la storia quante volte ci siamo allontanati da questa indicazione di Gesù; è stato facile dopo pochi secoli dall’ascensione, inseguire i modelli dell’impero «nell’inganno di vestirci e di imporci alla maniera del mondo». Nemmeno la chiesa dunque è esente dalla tentazione del dubbio e invece di consegnarsi a Gesù e alla sua promessa («… riceverete la forza dello Spirito Santo») può cercare altri appoggi. Ma oggi la liturgia ci rivolge ancora una volta l’invito ad essere testimoni, «a parlare con una vita in cui sia rimasto impigliato qualcosa di Lui».

Ogni persona, anche il credente, cresce nella fragilità e nel dubbio; trovo nella mia comunità momenti, occasioni che mi aiutano ad andare oltre guardando a Gesù Cristo? Trovo nella mia vita e nella vita della comunità esempi concreti in cui si possa scorgere la testimonianza a Gesù.

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