Domenico Volpati e il suo scudetto con l’Hellas. “Oggi tifo perché si ritorni in campo”

Volpati a contrasto con “Spillo” Altobelli nella stagione dello scudetto

Trentacinque anni fa lo scudetto si tingeva di gialloblù e il calcio italiano scriveva una delle imprese più belle della sua storia. Il Verona di Osvaldo Bagnoli sorprese tutti vincendo un campionato di altissimo livello, ricco di stelle e di grandi squadre. La Serie A della stagione 1984/1985 metteva in campo campioni straordinari: c’erano Maradona, Platini e Zico, solo per citare i più brillanti. In mezzo a tanta ricchezza nacque lo scudetto del Verona, quello di un gruppo di calciatori la cui consapevolezza crebbe domenica dopo domenica fino a quel famoso 12 maggio, quando il pareggio di Bergamo decretò l’avverarsi del sogno.

Domenico Volpati, classe 1951 di Novara, fu uno dei protagonisti di quell’annata, disputando tutte e trenta le partite del campionato. Più che un centrocampista era un tuttocampista. Dove c’era bisogno, lui giocava. Da quasi trent’anni vive a Cavalese: qui ha trovato l’amore e fatto il dentista, qui il Verona ha cominciato il suo cammino verso la vittoria. Ma andiamo con ordine.

Domenico, chissà quante volte glielo avranno chiesto. Che ricordi ha dello scudetto 1984/1985?

In quel campionato c’erano squadre fortissime. La Serie A era un campionato straordinario: c’era la Juventus di Platini, il Napoli di Maradona, l’Inter di Altobelli e Rummenigge. Noi di sicuro non partivamo per vincere, ma venivamo da due ottime stagioni.

Che tipo di squadra eravate?

Avevamo uno zoccolo duro composto da sei-sette giocatori importanti. La società quell’anno fu molto brava a non smantellare la squadra, aggiungendo due giocatori come Briegel e Elkjaer che diedero peso, personalità e spregiudicatezza completando il cerchio.

Quando avete capito che potevate vincere il campionato?

Arrivati a marzo abbiamo cominciato a parlare di questa possibilità. Eravamo praticamente sempre stati in testa alla classifica, dovevamo crederci. La partita della svolta è stata quella di Udine: siamo riusciti a ribaltare una situazione che stava degenerando, vincendo 5 a 3 in un campo di fango. Una prova di forza che ha demoralizzato gli altri contendenti al titolo e dato coscienza a noi di quello che avremo potuto fare.

Come giocava quel Verona?

Giocavamo un calcio spettacolare, molto verticale, sorprendendo l’avversario. Creavamo molte palle gol, così segnavano un po’ tutti. Bagnoli era il nostro maestro silenzioso, il punto di riferimento. Diceva poche parole, ma sempre di saggezza.

E lei che giocatore era?

Io ero il jolly della squadra: sono partito da mezz’ala, ho fatto il terzino per sostituire l’infortunato Ferroni, ma giocavo a metà campo quando c’erano da marcare i pezzi forti. Sono stato utilizzato un po’ in tutti i ruoli in cui Bagnoli aveva bisogno.

Il 19 maggio 1985 uno stadio Bentegodi strapieno festeggiava il primo, e fino ad ora unico, scudetto della storia gialloblù.

Fu la festa di una città intera, un’apoteosi. In quei momenti non riesci a percepire l’importanza di quello che hai fatto, me ne sono reso conto solo con l’andare del tempo, a mente fredda. Il giorno dopo la partita contro l’Avellino sono corso in chiesa: dovevo sposarmi!

E qui raccontiamo il legame che da quasi quarant’anni ti lega al Trentino e alla Val di Fiemme. Una storia che comincia nei primi anni ‘80...

Dall’82 all’88 svolgemmo il ritiro precampionato sul campo di Cavalese. Il terzo anno parlavo spesso con un tifoso del Torino, mia ex squadra. L’anno dopo quel signore di Castello di Fiemme diventò mio suocero. Ho sposato sua figlia Daniela il giorno dopo la festa scudetto. Mica lo sapevo, quando le ho fatto la proposta, che avrei vinto il campionato.

A Cavalese ha poi costruito la sua vita dopo il calcio.

Dopo essermi ritirato ho portato a termine l’università. A 39 anni mi sono laureato diventando medico chirurgo. Decisi di fare il dentista, prima per due anni nello studio di un mio amico a Novara, poi sono venuto in Trentino aprendo un’attività tutta mia, con uno studio in Val di Fiemme e uno a Termeno. Dopo quasi trent’anni di attività due anni fa sono andato in pensione, cedendo l’attività a un mio collega.

Qual è il suo rapporto con il calcio di oggi?

Sono un grande appassionato. Seguo un po’ tutte le squadre in cui ho giocato, su tutte ovviamente il Verona. Dopo quella dello scudetto, penso che la squadra di quest’anno sia la migliore di sempre. Seguo anche il calcio locale. Vado a vedere le partite del Fiemme e della Dolomitica in Prima categoria, seguo le vicende del Trento. Mi piacerebbe un giorno vederlo in Serie B.

Come vede una possibile ripartenza?

Ho detto al mio ex compagno tedesco Briegel: “Andate avanti voi e indicateci la strada, che noi vi seguiamo”. Come in Germania, anche noi possiamo portare a termine il campionato. Il calcio è un’industria, non ci sono solo i calciatori milionari, ci sono anche tantissimi dipendenti che percepiscono un normale stipendio. Io faccio il tifo perché si ritorni in campo.

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