I bambini del Libano e il vaccino della nostra miopia

Con i virologi ad ammonire che il virus “gira ancora fra noi” e i grandi quotidiani a “sbattere” in prima pagina l’orso evaso dal Casteller, potrebbe sembrare fuori luogo l’appello della Chiesa trentina (vedi pag. 18) a dare attenzione e ascolto ad una scuolina di un dimenticato villaggio del Libano, su nella valle della Bekkaa, dove spesso s’incrociano le bombe fra Siria e Turchia.

Attraverso il Centro Missionario ci invita ad una raccolta fondi – non certo straordinaria, di fronte a tante emergenze ormai ordinarie – affinché le generose suore di Jabbolleh, conosciute dai nostri pellegrini lo scorso anno, possano riaprire a settembre quella scuola in crisi, dando panini e formazione agli scolari più bisognosi: per non creare giovani disadattati, per non privare del lavoro le docenti costrette ad emigrare, con famiglie intere ad allungare le code alle frontiere.

Questa nuova raccolta fondi, senza “rubare” spazio ai sostegni duraturi ai poveri che in tanti altri Paesi sono a rischio di contagio insieme ai nostri missionari (sì, anche loro), può rapporesentare un salutare vaccino alla miopia che ci ha segnato durante l’emergenza sanitaria. Sorpresi dalla virulenza con cui il Covid-19 ha avvicinato le nostre case e il nostro Paese (per lunghe settimane l’Italia è stata ai primi posti nella triste graduatoria mondiale dei contagi), abbiamo fatto fatica a guardare lontano, oltre confine ed oltre emisfero, come se quanto piombava sui poveri lontani ci interrogasse meno, fosse quasi una coda inevitabile della nostra grande paura. Con la stessa miopia anche i media nazionali hanno spesso relegato la panoramica serale sul “Covid nel mondo” ad una sorta di rubrica fissa, alla quale fare l’abitudine..

La lettera dal Libano di suor Jocelyn ai pellegrini trentini guidati da don Rattin ci apre gli occhi perché ci dimostra come il Coronavirus abbia attecchito in modo incontrollabile laddove le strutture e le pratiche sanitarie erano già inesistenti o lacunose, tanto da determinare oltre ad un’estensione più rapida del contagio anche contraccolpi sulle economie e le colture strozzare dalla dipendenza estera: nel caso del Libano, appunto, la quarantena ha finito per rendere insostenibile lo scambio con le monete occidentali e ha minato lo stesso meccanismo creditizio interno al Paese dei cedri: “Non possiamo accedere ai nostri risparmi – scrivono le suore – perché la banche non ci lasciano prelevare più di una certa somma”.

Lo squilibrio planetario è stato spietatamente messo a nudo dalla pandemia globale. Racconti simili a quello delle suore libanesi ci sono arrivati dai missionari nella nostra quindicinale rubrica intitolata “Il mondo chiama Trento” (vedi pag.27).

“Anche qui il contagio aumenta, ci sono pochi kit per i test, ma non siamo ancora all’apice…” avvisava dalle Filippine a fine maggio suor Annarita, mentre padre Celestino Miori dal Mozambico raccontava un Mozambico accerchiato da due fuochi, la pandemia e la guerra. “Molte famiglie sono alle strette in Bolivia”, ci ha scritto il volontario laico Valerio Weiss dalla Bolivia mentre dalle periferie del Cile padra Christian Borghesi ha stimato uno stato di indebitamento diffuso nel 75% delle persone. E poi, insieme ad altre lettere, quelle dei nostri missionari brasiliani che hanno visto nel loro grande “continente” l’aggravarsi della pandemia anche per responsabilità e interessi politici, documentati da frei Betto nell’appello ripreso nel nostro ultimo numero.

E’ sconvolgente compulsare la classifica dei 15 Paesi più “contagiati” del mondo attraverso quello stano “contatore” aggiornato ogni 24 ore dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC): ora il Brasile è addirittura al secondo posto, dopo gli Stati Uniti e prima di India e Russia (l’Italia è tredicesima), mentre a fine marzo la situazione era ben diversa: dopo la Cina c’erano l’Italia, la Spagna, gli Stati Uniti, Germania e Iran.

Un ribaltamento repentino di dati – tenendo conto peraltro che molti Paesi sfuggono ad un rilevamento statistico, perché non si fanno i tamponi – davanti ai quali dovremmo veramente curare la miopia del nostro egoismo.
Anche se il contagio ci ha dimostrato quanto siamo interdipendenti, abbassiamo ancora lo sguardo sopra le punte dei piedi per non vedere lontano. Grazie al Centro Missionario e agli amici trentini rientrati dal Libano non possiamo dire che l’appello dei bambini della Bekkaa non ci riguarda e non ci costringe invece ad alzare gli occhi

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