Rom e Sinti, in 50 anni l’integrazione non ha fatto passi avanti

Il 29 maggio 2010 Maria Dolens ha accolto il vessillo del popolo Romanì

Questi colori rappresentano il cielo e la terra, gli unici confini di un popolo senza confini, che non possiede eserciti e non ha mai scatenato guerre”. E’ uno dei passaggi salienti del discorso pronunciato 10 anni fa da Juan de Dios Heredia, gitano spagnolo, ex parlamentare europeo, in occasione del primo alzabandiera rom e sinto alla Campana dei Caduti di Rovereto.

Per ricordare questo riconoscimento internazionale del vessillo, sabato 21 novembre l’Aizo (Associazione italiana zingari oggi), ha organizzato il suo 30° convegno dedicato a identità e intolleranza. L’evento, finanziato da Fondazione Caritro e dal Comune di Rovereto, si è svolto online, senza la possibilità di ripetere il gesto simbolico sul Colle di Miravalle, ma l’obiettivo è riuscire a ritrovarsi in presenza nel 2021 per festeggiare il mezzo secolo dell’associazione, fondata nel 1971 da Carla Osella, attuale presidente, su delega di 431 famiglie sinti.

In questi 50 anni il processo di integrazione della minoranza più numerosa in Europa – 12 milioni di persone sprovviste di territorio – non ha fatto troppi passi avanti. “La più grave discriminazione – ha rimarcato la presidente Osella – è non aver garantito loro un futuro, relegandoli nei ghetti”.

In Italia i rom e i sinti sono circa 180 mila, il 70% dei quali di nazionalità italiana. Settecento risiedono in Trentino, dove nel 1986 è stata approvata la prima legge di tutela, mentre è del 2009 la legge sulle microaree, ancora priva però di norme attuative. “La popolazione maggioritaria rimane xenofoba”, ha detto Gianluca Magagni, presidente della sezione Trentino-Alto Adige. “In regione, coinvolgendo diversi soggetti, si è creata una modalità di inclusione che rimane valida. Peccato che l’approfondimento del convegno non sia stato colto dagli insegnanti e dagli operatori del sociale”.

A livello nazionale, hanno convenuto i relatori, le istituzioni sono state sospese tra razzismo e buonismo. “È fondamentale far rispettare l’obbligo scolastico, ma la scuola diventa una grande opportunità solo se è aperta”, ha osservato Osella.

“Non dobbiamo dimenticare che tra i banchi si esprime la cultura maggioritaria e spesso non si pensa ai bambini che devono vivere la doppia appartenenza”.

Tra le altre riflessioni emerse dagli interventi dei docenti Marcella delle Donne e Luca Bravi, dello scrittore Francesco Comina e dei giovani sinti di Aizo Lombardia, la lacuna dovuta al mancato riconoscimento come minoranza di rom e sinti. “Il furto non fa parte della cultura rom, è l’effetto collaterale delle condizioni di vita”, ha detto Santino Spinelli, artista e primo rom a diventare Commendatore.

Roberto Malini, scrittore e difensore dei diritti umani, ha evidenziato le 5 parole chiave per un’integrazione di successo: lavoro, alloggio, accesso diretto e paritario alla scuola e alla sanità, stop all’informazione tendenziosa. “Dei 180 mila rom e sinti italiani solo 26 mila vivono nei campi. Sarebbe facile integrarli, invece da 40 anni vivono nell’invisibilità”, hanno concordato gli studiosi. Al convegno spazio anche alla tematica delle donne con Giulia di Rocco, membro dell’International rom union (IRU), in vista della Giornata contro la violenza sulle donne. “Servono esempi positivi, donne che facciano da apripista per tutte le altre”.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina