La Parola accolta con speranza rinnova la vita

LA FARMACIA DEL CUORE Te lo immagini Gesù mentre guarisce i malati con le sue mani piene d’amore? A volte mi viene il desiderio di fare un viaggio nel tempo per vivere accanto a Gesù e stargli vicino mentre guarisce e consola. Ci hai mai pensato? Deve essere stata una gioia grande per tutte le persone che Lui ha liberato dai mali fisici o da quelli del cuore. Consiglio creativo: giochiamo alla farmacia di Gesù! Con il cartoncino costruisci piccole scatolette o, in alternativa, chiedi alla mamma di regalartene alcune che non usa più (quelle vuote dei profumi, del dentifricio o… della maionese!). Fodera ogni scatoletta con un foglio bianco e decorala come se fosse un medicinale speciale. Inventati nomi e posologia per curare le “malattie del cuore”: l’invidia, la paura del giudizio, la gelosia, il rancore… e se ti mancano idee, prendi spunto dalle medicine che ci ha indicato Gesù: l’Amore, il perdono, l’ascolto del cuore. Guarigione assicurata! (illustrazione di Lorena Martinello)

DOMENICA 4 LUGLIO 2021 – XIV DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

Ez 2,2-5 – 2 Cor 12,7-10 – Mc 6,1-6

Gesù torna nella sua patria, a Nazareth, dove era cresciuto, e i discepoli vanno con lui. Amava la sua terra, la sua gente. Accade così anche a ciascuno di noi; tutti abbiamo nella memoria uno spazio da ricordare, un luogo dove ci sono le nostre radici. Marco non dice il motivo per cui Gesù questa volta vi si reca. Può darsi che volesse trovare un momento di pausa, oppure riposarsi un po’ e raccogliere le forze, o forse per cercare un segno. Arriva in giorno di sabato e va nella sinagoga. Ogni maschio adulto aveva il diritto, dopo che sono state proclamate le letture bibliche, di prendere la parola e di farne un commento. Gesù non si sottrae a questa consuetudine e si mette a insegnare.

I suoi compaesani avevano sentito quanto aveva compiuto, l’eco dei suoi prodigi era giunto fino a loro. Gesù parla con la consueta autorità, non perché vuole imporre qualcosa, ma perché propone spazi di vera libertà; le sue parole non sono come quelle degli scribi o dei farisei. Dapprima tutti si meravigliano. Ma poi, man mano che riconoscono in lui quello che se n’era andato qualche tempo prima, che inquadrano la sua famiglia, cominciano sospetti e dubbi. Lo stupore si trasforma rapidamente in irritazione e scandalo. Questo atteggiamento non ci deve sorprendere. Succede anche oggi, succede anche a noi: tanto più le persone ci sono familiari, tanto più siamo convinti di conoscerle, tanto meno vogliamo vederle cambiare. Ci siamo fatti un’idea su come sono, su cosa dovrebbero sempre dire e come comportarsi e non sopportiamo che cambino. Forse perché ogni trasformazione in loro, mette in questione anche noi, smentisce i nostri giudizi e pregiudizi. Non è forse vero che tante volte siamo sicuri di possedere la verità sugli altri e ci riesce insopportabile che qualcuno ci costringa a vederne una diversa? In più questo brano di Marco ci porta ad un’altra costatazione piuttosto triste: anche le sinagoghe – così come le nostre chiese – possono talvolta essere luoghi in cui la Parola di Dio viene messa a tacere «per ascoltare l’arido rimuginare della nostra mente».

Non c’è dubbio che sempre la Parola di Dio chieda conversione e non immobilismo e rigidità. Noi magari siamo pronti ad abbracciare il detto: «diventa ciò che sei», a sforzarci di realizzare ciò che per noi era già previsto dal contesto sociale, dai nostri familiari, dalle nostre aspirazioni. E non abbiamo mai pensato seriamente che il Vangelo ci chiede qualcosa di più: «diventa ciò che non sei, cambia il pregiudizio che gli altri hanno su di te». In altre parole Gesù ci chiede di lasciarci trasformare, di convertirci. Dietrich Bonhoefer lo spiega così: «Solo quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito, un uomo di Chiesa, un giusto o un ingiusto, un sano o un malato – allora ci si getta completamente tra le braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metanoia, e così si diventa più umani, si diventa cristiani» (Tegel, 21 luglio 1944). C’è sempre il rischio di far dire a Dio ciò che noi pensiamo. Ed è evidente che Gesù si meravigli della loro incredulità anche se frequentavano regolarmente la sinagoga. Ricorda la sorte dei profeti venuti prima di lui ed è costretto ad ammettere che nessuno è profeta in patria. Allora non gli resta che lasciare il suo paese e riprendere ad andare per i villaggi attorno a predicare, a guarire, ad annunciare. Là dove forse la sua parola è accolta con la gioiosa speranza che può rinnovare la vita.

E secondo voi?
Penso di conoscere la verità su me stesso, sugli altri e su Dio senza aver bisogno di un ascolto profondo?
So aprire la mia mente e il mio cuore alla novità del Vangelo?

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