Col gas finanziamo le armi di Putin

Cadaveri, relitti e distruzione a Bucha, 04 aprile 2022. ANSA/Sir LORENZO ATTIANESE

“Perché sono vissuta per vedere questo?”. Nello straziante lamento di una donna di Bucha, testimone delle atrocità dell’esercito russo che per un mese ha occupato con metodi nazisti il sobborgo di Kiev prima di ritirarsi, c’è la disperazione di un popolo seviziato e massacrato oltre l’indicibile dagli invasori. Atrocità che si sono già viste a Irpin, a Mariupol, nel Sud Est del Paese, rasa al suolo e martirizzata, e che in queste ore si vedono, ancora più sconvolgenti, a Borodyanska, altro sobborgo di Kiev occupato e poi lasciato dall’esercito di Putin fermato dalla resistenza ucraina.

Sono soprattutto le donne a testimoniare. Gli uomini sono a combattere contro gli invasori. Donne del popolo, coi loro volti solcati dalle sofferenze di settimane di privazioni e di terrore, di violenze viste e subite, spesso private per sempre dei loro cari, che non possono raccontare se non a brandelli, tra singhiozzi e silenzi, perché quello a cui hanno assistito e che hanno patito è al di là dell’immaginabile. “Perché sono vissuta per vedere questo?”. Davanti a tanto orrore è immorale restare passivi e non cercare di fermare gli aggressori. Quante altre atrocità sono state commesse e si commetteranno? Quante altre gli invasori cercheranno di cancellare nelle zone occupate?

Non sono eccezioni, sono un metodo dell’esercito di Putin. Lo si è visto in Cecenia e in Siria. In Siria tutte le parti coinvolte hanno commesso atrocità. Ma l’assedio e le atrocità commesse dall’esercito russo insieme a quello siriano del presidente Assad ad Aleppo, città martirizzata e rasa al suolo, hanno segnato con una particolare barbarie la guerra. Barbarie non inferiore a quella dei terroristi dell’Isis. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani , organismo siriano indipendente e autorevole, dichiara che in 11 anni di violenze armate sono morte 500 mila persone (ricordiamo anche 7 milioni di profughi). I civili vittime sono 160.681 (tra i quali 25 mila bambini), dei quali 52.508 sono stati uccisi dai bombardamenti di artiglieria governativi in zone occupate da gruppi armati anti-regime e 49.359 sono morti nelle carceri di Assad (vedi il reportage di Luca Geronico su “Avvenire” del 16 marzo scorso). Putin è il principale alleato e sostenitore del feroce regime di Assad. In questi anni non abbiamo perso occasione per criticare duramente le responsabilità occidentali, americane ed europee, nelle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen. Ma le responsabilità russe nelle guerre del nostro tempo non sono minori.

La giornalista russa Anna Politkovskaja ci ha lasciato impressionanti reportage dei crimini commessi dall’esercito russo in Cecenia. Li scriveva per la “Novaja Gazeta”, il giornale diretto da Dmjtri Muratov, insignito nel dicembre 2021 del premio Nobel per la pace. Un giornale indipendente e coraggioso. Che non si piegava alla propaganda di Putin che giorno dopo giorno spegneva, con le minacce, le censure, gli arresti, gli omicidi le voci libere di giornalisti e di politici. I reportage di Anna Politkovskaja sono stati raccolti in libri pubblicati anche in Italia, tra i quali, con i loro titoli eloquenti, “Un piccolo angolo d’inferno” e “Proibito parlare” sulla Cecenia e altre verità scomode della Russia di Putin. Il quale, invece, era osannato in Occidente. Da Berlusconi, Schröder, Blair, Chirac, Bush… Invano Anna Politkovskaja denunciava con insistenza: ma, cari occidentali, sapete chi è Putin? Cosa sta facendo in Cecenia e cosa sta facendo contro la libertà e i diritti umani in Russia? Allora vi premono più gli affari che i diritti umani. Così si è arrivati alla dipendenza energetica da Putin e alla ventennale complicità col suo regime. Anna Politkovskaja è stata assassinata il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin. Si parla di un “regalo” dei ceceni al despota. La censura di Putin ha adesso costretto la “Novaja Gazeta” a chiudere, come tutti gli altri organi di informazione liberi.

Solo la propaganda del regime può raccontare la guerra in Ucraina, che è proibito chiamare guerra. Una propaganda potente anche da noi, e non da oggi. I regimi si reggono sulla propaganda. Ed è inutile chiedersi perché hanno così alti consensi. Com’era col fascismo? Com’era col nazismo? Come con lo stalinismo? Il popolo aveva a disposizione solo le verità del regime e quelle
beveva. Solo qualche spirito libero resisteva. Solo qualche spirito libero resiste ancora nella Russia di oggi, sfidando carcere e persecuzioni. E lo ammiriamo.

Ma noi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Dobbiamo smetterla di armare Putin con i nostri soldi. Come scrive su “Avvenire” del 5 aprile Giovanni Maria del Re, “gli 800 milioni di euro al giorno che gli europei versano a Mosca per il gas sono decisivi per il finanziamento della guerra di Putin”. Se sono decisivi, vuol dire che abbiamo una enorme responsabilità di fronte ai crimini dell’esercito di Putin. È ora di sabotare il gas dei russi. Basta armarlo con i nostri soldi. Si tratta di una decisione difficile, che comporta per noi grandi sacrifici. Ma non si può restare passivi o complici di fronte a tanta disumanità.

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