Diaconi “sinodali”: parlano Michele Albertani e Antonello Siciliano. L’ordinazione il 19 marzo a Riva

La fotografia scelta da Michele e Antonello per l’annuncio

Il primo fa l’imbianchino, il secondo lavora all’Agenzia delle Entrate. Nella chiesa di San Giuseppe di Riva del Garda sabato 19 marzo alle 16 saranno ordinati diaconi dal vescovo Lauro (la celebrazione sarà in diretta su Telepace Trento e su Youtube). Michele Anderlani e Antonello Siciliano arrivano all’altare  con il sostegno delle loro grandi famiglie, l’esperienza di scelte di accoglienza e di servizio nelle parrocchie di Riva e di Nago-Torbole, l’entusiasmo di poter collaborare da subito al Cammino sinodale. In quest’intervista parallela evidenziano la possibilità del diacono di farsi vicino alla gente comune, “accessibili a tutti” e svolgere un ruolo nella Chiesa, complementare a quello dei sacerdoti, che però potrebbe essere meglio valorizzato.

Diacono da quando? A quando risale una prima idea di farsi diacono?

Michele: Torno indietro a circa cinque anni fa, alla fine del 2016, quando  il parroco di Riva, don Dario Silvello, mi ha proposto di diventare diacono. La mia prima risposta è stata quella che …aveva sbagliato persona. In quel periodo stavo vivendo un momento difficile della mia vita ecclesiale e anche della mia spiritualità; quindi, anche se mi faceva piacere aver ricevuto questa proposta l’ho subito scartata. Nel 2017, a distanza di mesi, un altro sacerdote, il nostro vicario parrocchiale don Mattia Vanzo, mi ha rifatto la stessa proposta, con convinzione. Mi ha fatto davvero piacere ma mi sembrava ancora una scelta non adatta a me. Dopo qualche tempo però la mia curiosità per la figura del diacono è cresciuta, sono andato a cercare nel sito della diocesi qualche informazione, ho cominciato a parlarne con mia moglie… Questa possibile scelta si faceva spesso presente nella mia quotidianità. A settembre, rientrato dalla vacanza con la famiglia, ho sentito che il desiderio di approfondire la realtà del diaconato si faceva forte. I miei sacerdoti mi hanno fatto conoscere i responsabili e ho deciso di intraprendere questo percorso.

Antonello: Ci ho pensato la prima volta nel 2005 quando un mio caro amico, Marcellino, che stava facendo il percorso diaconale, purtroppo è morto a causa di un  tumore. Mi ricordo che avendo più volte sentito la bellezza del suo racconto, ho pensato: “Signore fa che io diventi diacono prima di morire…”. Nel 2006 ho finito la Scuola di Formazione Teologica, ma non ci pensavo ancora. Nel 2016 durante un momento di preghiera ho avvertito il desiderio di cominciare il cammino diaconale, ne ho parlato con l’allora parroco don Luigi Panzera che mi ha appoggiato e quindi avanti…

Michele Albertani, rivano, ha 55 anni. È sposato dal 1994 con Cristina Serena (per tutti Chicca), ha 4 figli (Martina, 27 anni, Matteo 25, Luca 22 e Michela 18) e due in affido familiare (Sashaa di 21 e Nouamann di 10). Artigiano, ha una ditta di tinteggiature. Oltre che in parrocchia di San Maria fa servizio nella Pro Loco

Diacono perché?

Michele: Mi ha colpito l’idea di diaconia come servizio, anche come viene descritta negli Atti: al fianco degli apostoli, nell’assistenza alle vedove e ai poveri. Mi attirava questa vita di carità che forse in parte già mi trovato a vivere nel mio lavoro di imbianchino,  cercando di essere gentile e attento all’ascolto degli altri. Quindi considero anche oggi il diacono a servizio della comunità, soprattutto per le persone che hanno bisogno all’interno della parrocchia, e anche fuori.

Antonello: Ci troviamo in una società non più cristiana e la sfida del diacono è forse di starci dentro, per  testimoniare la bellezza del Vangelo, offrendo una chiave di lettura che è diversa da quella del sacerdote. Essa è forse più accessibile a tutti perché noi diaconi sposati per primi viviamo i problemi delle persone dentro le nostre famiglie. Questo ci permette di poter essere persone che possono comunicare a tutti.

Diacono per chi? Per tutti, ma in particolare…

Michele: Mi sento portato a vivere a servizio delle persone anziane, mi sento a mio agio nelle relazioni con loro. Già nel mio lavoro, nel rapporto con i clienti, mi viene facile instaurare un rapporto di fiducia e avere una comunicazione che poi dura nel tempo. Tanti si fermano a parlare volentieri;  ho visto che le persone anziane, soprattutto se rimaste sole, hanno bisogno di trovare qualcuno che le ascolta.

Antonello: Mi sento portato a stare in mezzo ai ragazzi, ai giovani e alle famiglie, anche per la sensibilità catechistica e la passione musicale. Sono un’autodidatta della chitarra e mi  piace molto la musica popolare latino americana, con quei canti religiosi che sanno comunicare molto alle persone. Abbiamo tanto da imparare…

E diacono grazie a chi?

Antonello Siciliano, della parrocchia di Nago – Torbole, ha 47 anni. Sposato con Francesca Giramonti, ha tre figli (Jacopo, 14 anni, Daniele 9, Mariastella, 7 anni). Nato a Trento da genitori campani, è funzionario all’Agenzia delle Entrate di Riva. Catechista e animatore musicale in parrocchia, si occupa del progetto “Skytarriamo”

Michele: Alla famiglia certamente. Mia moglie, innanzitutto, che mi ha sostenuto perché davvero il diaconato è una scelta di coppia: “Se hai desiderio di cominciare  – mi ha detto lei fin dall’inizio – ti sostengo e sono anche orgogliosa della tua scelta”. Ringrazio anche i miei figli, meravigliosi in certi momenti, che hanno accettato la mia scelta, anche se portava via del tempo che potevo dedicare a loro. Ringrazio la mia comunità di Riva con i suoi sacerdoti ed il vescovo: mi hanno supportato nel percorso. Però il ringraziamento più grande devo certamente rivolgerlo a Dio.

Antonello: Andrei alla mia prima conversione, che risale a quando avevo 16 anni. Stavo andando in discoteca quando ho incontrato un frate che – credendomi un catechista – si è messo a parlare con me. Due mesi dopo, sono ritornato da quel frate e da allora ho cominciato un percorso di fede. Ho potuto poi fare conoscenza ed esperienza anche di vari altri  movimenti religiosi e questi  carismi diversi mi hanno dato una visione aperta. Ora però sono contento di essere diocesano e poter promuovere la vita delle parrocchie, stando in mezzo a tutti. È la sfida di stare anche in realtà che non hanno la tua stessa sensibilità. Certamente, pure la famiglia mi ha aiutato; mia moglie è stata fondamentale così come i miei figli, tanto che il più grande, Jacopo, un mese e mezzo fa mi ha detto: “Se pensi che sia la cosa giusta per te, vai avanti”. A proposito osservo che rispetto al sacerdote per il diacono la famiglia sia un punto di forza,  ti fa sentire anche meno la solitudine.

Diacono come? Con quale stile?

Michele: Vorrei che principalmente fosse caratterizzato dalla spiritualità; se durante il giorno sono occupato nel lavoro e non solo, devo trovare il tempo per alimentare la mia fede. In secondo luogo vorrei mettermi a servizio della comunità e vorrei farmi sempre attento all’ascolto delle persone.

Antonello: Veniamo da anni in cui abbiamo dato importanza al ruolo (sacerdote, vescovo…) mentre credo che l’attenzione vada posta alla Chiesa nel suo insieme, un popolo in cui c’è bisogno di tutti.  Se uno manca, al corpo della Chiesa manca qualcosa. Il diacono fa alcuni servizi che non possono fare i laici, ma non li fa perché è più bravo, ma perché nel corpo c’è bisogno anche di questa parte. Vorrei a proposito accennare ad un tasto dolente: non si dovrebbe aver paura dei diaconi. Offrono un servizio diverso dal sacerdote, dovrebbero avere uno spazio ben riconosciuto, a conferma che nella Chiesa si cercano di valorizzare i talenti. Penso che anche per noi diaconi sia una bella sfida essere capaci di  relazionarci con i preti e i vescovi in una relazione reciprocamente arricchente e utile a capire la realtà che ci circonda.

Diacono, nonostante la guerra? Sabato sarà una celebrazione con quest’ombra….

Michele: Certo, ora c’è la guerra, e prima c’è stata la  pandemia che mi ha messo a dura prova nella mia vocazione e ha anche messo in discussione il percorso. Allo stesso tempo questi due anni sono stati un’esperienza che potrà servirmi in futuro come insegnamento per affrontare le difficoltà. Ma essere ordinati diaconati in questa fase storica difficile, mi fa dire che nel nostro piccolo possiamo portare un po’ di luce e di speranza. Alcuni conoscenti me lo hanno già manifestato, anche loro sentono un dono l’ordinazione di sabato prossimo.

Antonello: Questa  guerra come ogni ingiustizia deve svegliare i cristiani: dobbiamo saper riconoscere ciò che è buono e giusto, saper riconoscere l’ingiustizia e promuovere l’aiuto agli altri.  Penso che non possiamo fermarci alla tristezza, ma partire dai piccoli atteggiamenti di rispetto, di accoglienza, di  condanna della violenza…Lo dico anche ai ragazzi della catechesi, insieme all’invito a pregare. Noi adulti  ragioniamo spesso solo con la logica e riteniamo impossibile la soluzione di certe situazioni; dobbiamo avere più fiducia in Dio e fantasia, a partire dalla preghiera per la pace, che potrà fare la differenza.

Come può vivere un diacono all’interno del Cammino sinodale?

Michele: Non sono un grande esperto di pastorale, ma credo che un diacono, come ogni parrocchiano peraltro, è chiamato ad essere partecipe del Cammino. Non per clericalismo o per esibizionismo, ma per suscitare anche entusiasmo e propositività.  Anche a sostenere i sacerdoti, i religiosi e le religiose, sempre più gravati da impegni e a supporto della comunità.  Il diacono può essere di aiuto con le proprie esperienze di sposo e di genitore.  Nel rispetto dei ruoli può essere arricchimento reciproco, come leggiamo già nei documenti del Concilio.

Antonello: Sento spesso discorsi di chi si accontenta della piccola minoranza che ancora viene in chiesa, ma credo invece che papa Francesco anche attraverso il Sinodo ci stia stimolando ad altro. Anche Gesù esce per cercare la pecora smarrita: dobbiamo saper andare a parlare laddove non c’è il Vangelo. E non serve andare lontano perché la missione la abbiamo in casa nostra. Oltre a chiedere che cos’è la Chiesa, dobbiamo trovare modalità di comunicazione diversa, per arrivare a tutti: talvolta può essere un segno da portare a casa, un biglietto, una candela… per arrivare sui giovani dobbiamo frequentare i social come nuovi canali. Altrimenti sapremo comunicare solo a pochi.

(ha collaborato Ilaria Prando)

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