Cosa ci fa un affresco del grande Romanino a Sardagna? Ce lo racconta Ezio Chini

Il San Sebaldo dipinto da Romanino nella chiesa cimiteriale di Sardagna da Romanino. Foto Chini

Cosa ci fa san Sebaldo affrescato sulla lunetta dietro l’altare maggiore della chiesa cimiteriale di Sardagna dedicata ai santi Filippo e Giacomo? E soprattutto, chi ha eseguito il pregevole dipinto? Un piccolo, doppio mistero custodito da quasi mezzo millennio all’interno dell’edificio sacro costruito “sull’orlo della rupe” e per questo ben visibile dalla città di Trento, alzando gli occhi verso il Bondone, soprattutto la sera quando si illumina. In un recente saggio pubblicato sulla rivista “Studi Trentini Arte 2021-2”, lo storico dell’arte Ezio Chini ha indossato i panni dell’investigatore e ha provato a risolvere l’enigma, rispondendo alle due questioni aperte dal millecinquecento.

1532, per essere precisi…

“La data di realizzazione del ‘misterioso’ dipinto: gli affreschi custoditi dalla chiesetta appartengono ad autori diversi – la pala d’altare è stata realizzata ad esempio da Marcello Fogolino un paio di anni dopo – ma questa è un’opera di grande qualità, che per forza deve essere stata dipinta da un artista di valore superiore rispetto alla media di quelli che lavoravano in quel periodo qui in Trentino”.

E allora… scopriamo subito le carte: chi è l’autore?

“Probabilmente stiamo parlando di un… Romanino riscoperto. In quegli anni il pittore bresciano si trovava infatti al Buonconsiglio alla corte di Bernardo Clesio che lo apprezzava per le sue capacità e la sua rapidità realizzativa. L’artista lombardo, una volta terminati i cicli pittorici del castello, nell’estate del 1532, potrebbe aver ricevuto l’incarico quando stava per tornare a casa: e da Trento a Sardagna, la strada è breve…”.

La chiesa dei santi Filippo e Giacomo a Sardagna. Foto Gianni Zotta

Appunto, ma perché proprio Sardagna?

“Prima del dove, concentriamoci ancora sul ‘chi’. E in particolare, sul committente dell’opera, ovvero Ludovico Balzani, a quel tempo canonico del Capitolo della Cattedrale di Trento. Che, caso vuole, possedesse una casa proprio a Sardagna usata probabilmente – “sibi et amicis”, per se e per gli amici, recita l’iscrizione sul portale ancora integra – come residenza estiva. Balzani che, per altro, viene ricordato come protettore della chiesa di san Filippo e Giacomo. E che poteva permettersi di pagare un pittore della fama del Romanino…”.

Due indizi fanno una prova: resta ancora da capire perché Romanino dipinse proprio il patrono di Norimberga…

“Un santo ‘strano’ per l’area trentina: in provincia, infatti, vi è soltanto questa raffigurazione, in Italia sono tre: oltre appunto a Sardagna, lo troviamo dipinto a Venezia e Siena. Se ragioniamo con la storia e la geografia di allora però, Norimberga – importantissimo centro di commercio, una sorta di Milano di oggi – e l’area trentina facevano parte dello stesso impero, quello asburgico, e intrattenevano rapporti. Trento inoltre si trovava sulla strada per Venezia: insomma, le due città erano più vicine di quanto si possa pensare…”.

Lo storico dell’arte Ezio Chini

Altro piccolo “mistero”: il pellegrino san Sebaldo viene rappresentato solitamente in piedi, qui invece è seduto. Perché?

“L’affresco si basa fedelmente su una stampa dell’artista tedesco Hans Sebald Beham, datata 1521. Sebaldo, con il bastone nella sinistra e il modello della chiesa a lui dedicata a Norimberga nella destra è seduto, ma proprio questa posizione gli permette di occupare con grande autorevolezza lo spazio della lunetta”.

Mistero risolto dunque…

“Quella custodita nella chiesa cimiteriale di Sardagna può davvero essere un’opera di Romanino. Questa è la mia ipotesi e sarei davvero curioso di sentire anche altri pareri: fatevi avanti!”.

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