Macron vuol far pesare il ruolo della Francia

Dove è sparito il presidente francese Emmanuel Macron dopo la sua rielezione all’Eliseo il 24 aprile? Rispetto all’attivismo dei mesi precedenti, alle prese con la crisi ucraina, oggi la sua azione politica europea si è molto affievolita. Lui stesso ha ricordato i numerosi viaggi a Mosca per incontrare Vladimir Putin e le sue oltre 100 ore di telefonate con il capo del Cremlino per trovare una via d’uscita dalla guerra. Per di più Macron non parla solo a nome della Francia, ma dell’intera Unione europea, essendone il presidente del Consiglio di turno fino al termine di giugno. Una prima ragione di questo profilo più basso ha a che fare con le imminenti elezioni parlamentari del 12 e 19 giugno.

Macron è impegnato fino allo spasimo a cercare di ottenere una maggioranza, possibilmente assoluta, nell’Assemblea francese per avere vita più facile nel prossimo quinquennio. Come ci insegna l’esperienza, le elezioni generali si giocano nei singoli collegi elettorali su temi molto concreti, dalla politica salariale a quella sanitaria. Ucraina ed Europa giocano un ruolo molto secondario.

Per di più è bene ricordare che politicamente i francesi sono un popolo piuttosto inaffidabile: hanno regolarmente affossato i grandi progetti europei, dalla lontana Comunità Europea di Difesa del 1954 al Trattato costituzionale del 2005. Paradossalmente progetti ispirati o diretti da loro stessi: il piano francese Pleven per la CED (respinto dall’Assemblea un paio d’anni dopo) e la guida di Giscard d’Estaing della Convenzione per la Costituzione europea (bocciata con referendum). Quindi Macron non va a rischiare su temi troppo distanti dagli interessi degli elettori.

La seconda ragione per attenuare il suo ruolo nella ricerca di una soluzione negoziata fra Ucraina e Russia è racchiusa in una frase pronunciata al Parlamento europeo il 9 maggio: “Non dobbiamo umiliare la Russia”. Posizione che si pone in contrasto con la politica di radicale confronto con Mosca di Joe Biden e perfino della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che insiste nel parlare di vittoria di Kiyv contro l’armata russa. Vittoria cui vogliono credere gran parte dei Paesi dell’Est dell’UE direttamente esposti sul fronte ucraino e, a maggior ragione, lo stesso leader Volodymir Zelensky.

L’intenzione di non volere umiliare Putin trova un parziale appoggio nell’alleato di sempre, la Germania. Ma il cancelliere Olaf Scholtz non brilla per velocità di riflessi e per di più è scavalcato su posizioni più radicali dalla ministra degli esteri, la verde Annalena Baerbock che si è recata a Kiyv per dare pieno appoggio a Zelensky. Vale qui la pena ricordare che mentre Macron e successivamente Scholtz si sono recati alla corte dello zar di Mosca, nessuno dei due ha messo piede a Kiyv. Cosa piuttosto incomprensibile per Macron che rappresenta anche l’intera UE. La verità è che Germania e Francia non vogliono irritare più di tanto Vladimir Putin e pensano con ciò di potere giocare in futuro un ruolo di mediazione. è quindi probabile che dopo le elezioni parlamentari, soprattutto se dovessero andare bene, Emmanuel Macron riprenderà a tessere la sua tela, prima della scadenza del semestre europeo di presidenza.

In realtà una vera operazione di mediazione nel conflitto Russo-Ucraino dipenderà da diversi fattori.

Il primo è quello della situazione sul campo di battaglia e del momento in cui le due parti, soprattutto la Russia, decideranno di bloccare le operazioni militari. Ciò significa che le volontà di Kiyv e di Mosca rappresentano la precondizione per qualsiasi prospettiva di pace o almeno di cessate il fuoco.

Il secondo è che al di là di Francia e Germania, e magari l’intera UE, al tavolo dei negoziati dovranno sedere sia gli Usa che la Cina. Non solo perché una delle ragioni della guerra è stata per Putin quella di essere riconosciuto come leader mondiale, ma anche perché il conflitto è ormai globale e vi è quindi un ovvio ruolo per le grandi potenze. La Francia, tuttavia, potrà giocare da protagonista sul piano europeo portando avanti alcune delle idee di Macron, a cominciare dalla più volte ripetuta autonomia strategica dell’UE. La guerra nel cuore dell’Europa ha fatto comprendere che un’Unione senza capacità strategica finisce inevitabilmente per subire l’influenza e le decisioni di altre potenze, siano esse la Russia, gli Stati Uniti o la Cina. Serrare le fila è quindi urgente e necessario.

La Francia che è l’unica potenza nucleare dell’UE e la sola a detenere il potere di veto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU ha una responsabilità tutta speciale per dare sostanza anche alla componente di difesa dell’Unione, elemento indispensabile per poter parlare di autonomia strategica. Ma per ottenere ciò Macron dovrà fare un passo rivoluzionario: rendere comune sia il suo armamento atomico sia la concessione all’UE del suo seggio all’ONU. D’altronde la “grandeur” francese non esiste più. Può solo rinascere all’interno di un’Unione profondamente rinnovata, perfino nel numero dei partecipanti ad alcune nuove politiche, prima fra tutte quella di difesa. Ma ci vorrà un grande coraggio politico e la capacità di convincere il proprio popolo e i principali partner europei.

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