Da Gesù impariamo a pregare il Padre

Domenica XVII del tempo ordinario C. . Illustrazione © Fabio Vettori

24 luglio 2022 ‑ Domenica XVII del tempo ordinario C

Letture: Gn 18,20-21.23-32; Col 2,12-14; Lc 11,1-13

«Signore, insegnaci a pregare». Lc 11,1

 

«Chi non crede prega?» Si chiedeva lo psicanalista Mario Trevi nella VII “Cattedra dei non credenti” (1993) animata dal cardinal Martini. E proponeva una riflessione profonda sulla preghiera del non credente. Una qualche forma di preghiera la conosciamo tutti, sono rare le persone che non avvertano il “bisogno” di rivolgersi a “qualcuno” nella speranza di trovare ascolto. Avverte questo desiderio, appunto, anche il non credente. Ma non ogni preghiera è preghiera cristiana. Questa domenica siamo invitati a scoprire qual è la preghiera del cristiano e cosa vuol dire pregare cristianamente.

Una constatazione iniziale che sa di ovvietà: la preghiera cristiana nasce quando ci mettiamo alla scuola di Gesù Cristo perché lo abbiamo visto pregare. La richiesta dei discepoli «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1) nasce infatti «un giorno che Gesù si trovava in un luogo a pregare» (Lc 11,1) e nasce perché i discepoli l’hanno visto pregare. Più di ogni altro, evangelista Luca è testimone di questa scoperta: Gesù ha pregato, dal battesimo fino alla morte in croce, Gesù ha anche insegnato a pregare.

Una seconda constatazione: noi, come i discepoli, ma anche come gli oranti dell’Antico Testamento e di tutte le religioni, preghiamo sempre a partire dall’idea di Dio che ci siamo fatti o che ci è stata trasmessa. Se abbiamo di Dio un’idea terrificante e spaventosa, nella nostra preghiera balbetteremo le nostre angosce nella speranza di scampare dai suoi fulmini. Se abbiamo di Dio un’idea severa ed intransigente, la nostra preghiera sarà ambientata in tribunale e Dio avrà il volto di un giudice che non conosce appello. Se abbiamo di Dio l’idea che egli ci è Padre (e madre), e che esistiamo perché voluti e amati, nella nostra preghiera esprimeremo la confidenza, la fiducia e la gratitudine dei figli. È esattamente questa l’idea e l’esperienza di Dio che Gesù ci ha comunicato: il nostro Dio santifica il suo nome e realizza il suo regno nel prendersi cura di noi quotidianamente, nel perdonarci e nel renderci capaci di perdonare, nel sostenerci quando le prove della vita fanno vacillare la nostra fede.

Una terza constatazione: una preghiera del genere siamo in grado di esperimentarla solo se ci lasciamo introdurre da Gesù stesso nella conoscenza del Padre e solo se ci vien dato in anticipo e sovrabbondantemente il dono dello Spirito Santo: «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,13). Da molti altri passi del Nuovo Testamento scopriamo infatti che è lo Spirito a gridare dentro di noi con la voce del Figlio: «Abbà, Padre».

La preghiera cristiana del «Padre nostro» è allora molto più di una formuletta sintetica delle cose urgenti da chiedere a Dio. La preghiera cristiana del «Padre nostro» è immersione nella vita e nella comunione della Trinità: è confessione fatta con cuore di figli nel Figlio, per l’opera dello Spirito Santo, che ci consegna all’abbraccio del Padre; è desiderio di questa vita e comunione che ora intravediamo ma che un giorno gusteremo in pienezza.

Con questo spirito filiale possiamo fare nostra la preghiera di san Charles De Foucauld, il soldato divenuto eremita, che tra Nazareth, Gerusalemme e il deserto del Sahara algerino ha incontrato il volto paterno di Dio: “Padre, mi abbandono a te, fa’ di me ciò che ti piacerà. Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto. Purché la tua volontà si faccia in me, in tutte le creature; non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo, ed è per me un’esigenza d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani, senza riserve, con infinita fiducia, perché tu sei mio Padre”.

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