Cambiamenti d’epoca, ma il giornale “tiene”

S’arricchiscono di nuove testate le edicole trentine. Che ne diranno i lettori? Come si spiega questa rinnovata tenuta dei giornali nell’era del web?

È un ritorno alla tradizione storica, ci spiegherebbe Gianni Faustini, studioso del giornalismo locale (e affermato direttore), che ha documentato nei suoi fondamentali volumi quanto la vivacità socioculturale del Trentino sia stata sempre pungolata dal dibattito sui giornali. Tra le combattive redazioni di varia estrazione, c’è da 96 anni anche quella ecclesiale di Vita Trentina, col timbro peculiare di “uscire” come unico settimanale.

Quanto bisogno vi sia oggi di strumenti utili e semplici, non effimeri, per comprendere questo “cambiamento d’epoca” lo confermano i primi editoriali dei nuovi direttori: più approfondimento e meno cinguettii, più analisi e meno titoli strillati, più racconti di storie vere invece di post ingannevoli per accalappiare tanti “mi piace”.

Le promesse saranno mantenute e premiate? La carta – lo dicono le proiezioni sul mercato dei media – conserva ancora la sua autorevolezza (non tutto si vuol cancellare con la rapidità con cui si svuota il cestino del computer), ma le redazioni vecchie e nuove sanno bene di dover lavorare a due velocità: scavando con pazienza nell’anima della notizia e, al tempo stesso, confezionando al meglio il suo vestito digitale. Insomma, rigore deontologico e competenze tecnologiche, fedeltà al lettore e onestà d’intenti.

Dentro questo “ritorno al futuro” del giornalismo trentino, il nostro settimanale lancia con entusiasmo la sua campagna abbonamenti, valorizzando nello slogan 2023 la propria unicità. Non è tanto determinata dall’uscita all’alba di giovedì, in quanto la redazione non lavora solo per la rivista cartacea ma è attiva sette giorni su sette per presidiare il sito web e i propri canali social (in continua crescita).

Vita Trentina si sente un settimanale unico per alcuni motivi forse impensati; innanzitutto per il suo editore: che non è un potentato economico o un portatore d’interessi politici, ma una cooperativa formata dai rappresentanti delle parrocchie e di alcuni enti ecclesiali, erede di quel gruppo di cattolici che nel 1926 avvertì in anticipo il bisogno di “esserci” prima che si alzasse la bufera del fascismo. Il vero padrone del nostro settimanale è la Chiesa di Trento, intesa come popolo di Dio che vuole avere voce e far sentire la propria voce. È un coro che vuole ascoltarsi – è d’obbligo quest’immagine ormai nel secondo anno sinodale – ma che vuole ancora ascoltare e farsi ascoltare. In questo senso pensa di essere voce originale per il suo punto di vista dichiarato che è la prospettiva del Vangelo, mediato dalla dottrina sociale e scandito dall’arcivescovo Lauro in tre priorità: Parola, Pane e Poveri.

Non è un’attenzione recente, ma viene da molto lontano, tanto da essere unica per la sua storia: perché la preoccupazione di un giudizio evangelico sulle vicende dell’attualità anima il primo articolo di mons. Delugan (“sentire cum ecclesia”, scrisse) e affonda fin nella metà dell’Ottocento nella nascita della precedente testata “La Voce cattolica”.

Stiamo celebrando in questi numeri il sessantesimo del Concilio Vaticano II, rilanciandone le istanze di rinnovamento. Se il dialogo è stata l’indicazione per vivere “nel mondo senza essere del mondo”, Vita Trentina vuole essere settimanale unico per il suo metodo: che rimane sempre “dialogo aperto” – come recita la pagina dei lettori, degli interventi e delle opinioni – e dove tutti possono sentirsi a casa. Lo sforzo di quanti scrivono e impaginano Vita Trentina è poi la ricerca di una certa unicità per lo stile: vorremmo che esso nascesse dalla capacità di toccare con mano le situazioni; di saperle ascoltare con pazienza; di saperle raccontare “con il cuore” ovvero coinvolgendosi per quella “comune umanità” che abbatte barriere e pregiudizi.

A pensarci bene poi il settimanale diocesano ha una diffusione così capillare – tramite l’impegno dei nostri fiduciari che ancora raccolgono gli abbonamenti paese per paese, nonostante la distanza imposta per due anni dalla pandemia – che è anche unico per la sua rete: di collaboratori, di sostenitori, di antenne sul territorio. I “pezzi” migliori non vengono da un commento su Facebook, ma dalla telefonata di un abbonato che sente di dover segnalare al “suo” giornale quanto ha trovato o scoperto sotto casa. L’ultimo dei sette buoni motivi per cui possiamo considerarci unici è quello che più vi riguarda da vicino: per i lettori. Chi attende ogni giovedì la nostra testata (“non vedo l’ora di leggerla”, ci dicono molti) o chi la acquista in edicola è il lettore che ogni testata desidererebbe: fedele, partecipe, orgoglioso. E d’ora in poi, speriamo, sempre più disponibile a raccogliere un abbonamento nuovo fra figli, amici, giovani coppie, perché questa unicità possa tramandarsi, resistere nel tempo e comunicare la speranza: ispirata al Vangelo delle Beatitudini e radicata nel Signore della storia.

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