La necessità della correzione fraterna

Illustrazione di Fabio Vettori

10 settembre 2023 – XXIII Domenica TO A

Ez 33,7-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo». Mt 18,15

 Il pettegolezzo e la mormorazione sembrano essere connaturali ad ogni tempo e ad ogni cultura. Oggi vengono dilatati attraverso i social media su scala locale, nazionale ed internazionale. Così il supposto deviante diventa subito “mostro” e l’indagato viene mediaticamente giustiziato a nove colonne. Anche in ambito ecclesiale è – purtroppo e spesso – forte la tentazione di mormorare anziché tentare la via paziente della correzione fraterna. San Francesco nella Regola mette in guardia i frati proprio “dalla mormorazione e dalla detrazione” (Reg X) perché minano la fiducia e l’unità della fraternità.

La parola di Dio di questa domenica scardina alla radice questa mentalità e questa prassi. Anzitutto ci fa comprendere il principio di fondo dal quale partire: “La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge, infatti, è la carità” (Rm 13,10). Ciò che può far male al prossimo, ciò che può allontanarlo da Dio e dai fratelli va accuratamente evitato. Di questo dobbiamo avere profonda coscienza quando ci accorgiamo che il fratello o la sorella sbagliano e ci troviamo costretti ad intervenire per correggerci gli uni gli altri.

Il secondo grande principio, presente già nel profeta Ezechiele, di cui occorre prendiamo coscienza, è che le persone non sono prigioniere dei loro comportamenti sbagliati, ma possono uscirne e possono farlo anche grazie alla nostra correzione e al nostro aiuto. Noi non possiamo chiudere gli occhi se un fratello o una sorella sbagliano, ma abbiamo il dovere di intervenire, perché è un modo concreto di voler bene al prossimo. Noi non siamo responsabili solo per noi stessi, ma lo siamo, almeno in parte, anche per gli altri (cfr. Ez 33,7-9).

Il terzo grande principio che ci viene inculcato è che la correzione fraterna è graduale, è l’insegnamento che troviamo nel vangelo di Matteo (18,15-20). Si inizia con una correzione personale, della quale nessuno deve saper niente se non chi la fa e chi la riceve. Si passa al gradino successivo di una correzione fatta in presenza di due o tre testimoni; solo se la correzione a tu per tu non ha funzionato. Si giunge a quello che è un formale “processo canonico” solo se le prime due istanze hanno fallito. Sempre e comunque la correzione vien fatta non per la rovina di chi ha sbagliato ma per il suo recupero. Perfino l’esclusione dalla vita della comunità (la scomunica) – secondo il vangelo, come secondo la prassi ecclesiale e quella monastico religiosa – è un atto che ha l’obiettivo di far riflettere chi la subisce, perché si converta e possa essere poi riammesso pienamente nella comunità. E quando anche la correzione fraterna e pubblica hanno fallito, i cristiani non hanno da mormorare o spettegolare su chi ha sbagliato, ma da pregare insieme per lui, perché il Padre trovi il modo di giungere al cuore del fratello, perché “se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà” (Mt 18,19).

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