Andreatta raccontò la svolta della Chiesa trentina

Una tipica espressione sorridente di Giampaolo Andreatta (foto Gianni Zotta)

La scomparsa a 94 anni di Giampaolo Andreatta (il funerale sabato 20 gennaio alle 10 nella chiesa di Sant’Antonio) non priva soltanto la nostra terra di un protagonista decisivo negli anni Settanta come direttore generale della Provincia dal 1970 al 1994, dopo essere stato braccio destro di Bruno Kessler e spesso ispiratore oltre che testimone delle sue scelte di innovazione per il Trentino: dal Piano urbanistico provinciale all’istituzione dell’università a Trento.

Per le sue doti d’intellettuale acuto e di cristiano convinto, Andreatta è stato anche un testimone originale del cammino del cattolicesimo trentino, indagato prima come “osservatore partecipante” dentro l’associazionismo universitario cattolico e tra le file dell’Azione Cattolica, poi come interlocutore e amico di sacerdoti protagonisti di quegli anni come i compaesani levicensi  mons. Iginio Rogger e don Mario Bebber, l’assistente ecclesiale don Onorio Spada, l’ecumenico don Silvio Franch e il direttore di Vita Trentina don Vittorio Cristelli.

Con la sua estroversa irruenza, Andreatta non mancava di intervenire sui giornali con lettere e prese di posizione, ma la sua penna brillante sorretta da una memoria fotografica ha trovato espressione libera in alcuni libri importanti in cui ha descritto di fatto il passaggio dalla Chiesa preconciliare a quella prospettata e solo in parte realizzata dal Concilio Vaticano II, un evento sul quale aveva raccolto testimonianze dirette.  Pensiamo al volume  “Qual falange di Cristo Redentore” (Publiprint,  1988) fino al saggio dal titolo altrettanto intrigante “La chiesa dei preti, la chiesa con il prete” (Silvy Edizioni, 2012), in cui prospettava “una chiesa edificata sulla fraternità, una comunità di fratelli e sorelle, meno verticistica e più comunionale, una chiesa “con il prete”, meno uomo tuttofare e più “ porta aperta, cuore allargato per tutti, sullo stile di Gesù”.

Andreatta ebbe ad ammettere anche “il peccato giovanile” di aver guardato inizialmente con diffidenza al movimento di Chiara Lubich, ha dedicato un ritratto biografico al suo omonino “Nino Andreatta e il “suo” Trentino”, edito da Il Margine  e ci ha lasciato un ultimo testo per la Fondazione Museo Storico del Trentino con rivelazioni importanti su Flaminio Piccoli, Alcide Da Gasperi e Bruno Kessler.  Non riusciva ad uscire dal suo stile personale, immaginifico  e vibrante, a tratti anche polemico ma sempre per la passione di veder  prevalere le istanze del bene comune e di un cristianesimo autentico, quello che aveva trovato in alcuni testimoni semplici e generosi come l’amico folgaretano invalido Luigino Rella, coautore di un libro di pensieri spirituali davvero commovente edito da Vita Trentina nel 2010: “Oltre Giobbe”.

Questi testi insieme alla messe di articoli e lettere sui giornali firmati da Giampaolo Andreatta rimangono come materiali decisivi per chi si troverà a scrivere la storia del cattolicesimo trentino nella seconda metà del Novecento. Anche per questo gli siamo debitori oltre che della simpatia con cui guardava al ruolo di Vita Trentina, che avrebbe voluto sempre meno curiale e sempre più profetica.

Ai figli le condoglianze della nostra redazione.

 

 

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