La dolce fatica di chiedere perdono

Le celebrazioni del Triduo pasquale in cattedrale. Foto (c) Gianni Zotta

Un’autorità, una guida, un leader, che chiede perdono ai suoi! Non capita tutti i giorni, anzi: è un fatto straordinario. Hanno teso le orecchie i fedeli in Duomo per il Giovedì Santo quando mons. Lauro Tisi si è rivolto così ai suoi preti in Duomo per la Messa crismale: “Come vescovo, sento il dovere di chiedere perdono a Dio e a tutti voi per le tante volte in cui nell’esercizio del mio ministero ho favorito questa deriva funzionalistica con la mancanza di attenzione alla vostra persona, i discernimenti frettolosi, e l’ansia nel risolvere le questioni”. Una richiesta forte, merita considerazione anche fuori dal Duomo.

Eravamo in uno speciale giorno di festa (com’è appunto il Giovedì Santo per i sacerdoti), si respirava un clima ideale di “conversazione spirituale” (quell’ascolto sincero senza pregiudizi a cui ci ha richiamato il Cammino sinodale), eppure don Lauro ci ha dato una lezione di umiltà e di stile evangelico nell’aver messo nero su bianco nell’omelia (e aver poi esclamato con il vibrante timbro rendenero) il suo dovere di chiedere perdono.

Ci ha colpito poi per averlo fatto in modo così pubblico, quasi solenne, nel giorno in cui tutti i preti rinnovano le loro “promesse”, che corrisponde un po’ ad un anniversario di matrimonio.

E noi coniugi sappiamo bene quanto può essere difficile chiedersi seriamente perdono (e perdonare l’altro, senza tornaconti) , ma anche quanto è liberante, fecondo, generativo di rapporti positivi, saper riconoscere: “Quando sono così, quando faccio cose di questo tipo, mi rendo conto di farti del male: perdonami”.

Non mancano trattati e libri sul tema del perdono e l’ultimo della serie – pubblicato proprio a Trento dall’Associazione “Antonio Rosmini” (vedi copertina e presentazione a lato) – attinge a varie discipline, dal diritto all’esegesi, convergendo su questa constatazione: “Se la vendetta è facile, il perdono è difficile; se la vendetta è oggetto di consenso immediato, chiedere o concedere il perdono potrebbe rappresentare una seconda violenza ai danni dell’altro”.

C’è un risvolto quindi anche laico, civile, nella richiesta di perdono dichiarata ex cathedra dall’Arcivescovo ai suoi stretti collaboratori nel ministero. Potrebbe essere preso anche d’esempio da qualche dirigente che fatica a riconoscere i propri limiti, che considera la supremazia gerarchica come la licenza di… comandare e ritiene che non vi sia spazio negli “affari” d’azienda o di realtà associata per la logica gratuita del perdono. E perché non applicarla in campo politico – dove spesso anche fra compagni di partito si preferisce dividersi che riconoscersi in difficoltà o in errore – e non anche nei rapporti fra le istituzioni, fra i poteri, verrebbe da dire anche fra governanti? A Pasqua l’ennesimo richiamo del Papa contro la logica della vendetta.

Rientrando fra le mura ecclesiali, va sottolineato anche il merito della richiesta di perdono di don Lauro: guai ad essere preti “funzionari” – come ha detto sempre papa Francesco – , piegati alla tentazione dell’efficientismo o della quantità invece di preferire sempre e soltanto la qualità della relazione, l’attenzione alla persona, secondo l’esempio sempre pasquale del Nazareno. Che è quello che poi oggi ancora attendono gli uomini del nostro tempo dai loro sacerdoti: per questo, nella maggior parte dei casi, li stimano come “carezza di Dio” e per questo sono a loro riconoscenti in questo periodo storico, come ha giustamente osservato mons. Tisi nel proseguire la sua incoraggiante “confidenza” del Giovedì Santo in Cattedrale.

L’ultimo spunto da quest’omelia “a cuore aperto” viene dall’indicazione del diabolico nemico di ogni prete (ma anche di ogni uomo e di ogni vescovo): la fretta. Di far sentire la propria voce, di prendere una decisione (senza ponderarla bene), di razionalizzare e armonizzare per rendere funzionale, appunto, il sistema, anche quando l’imperfezione e la fragilità umana poi vengono a dimostrare ancora una volta la nostra limitatezza. E quindi il nostro sacrosanto dovere di chiedere perdono. Che, non solo a Pasqua, ci regala poi il sapore dolcissimo del rinnovamento, lasciandoci curare e gustare relazioni umane ritrovate.

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