La minaccia iraniana ricompatta l’alleanza occidentale con Israele

Il progressivo ribaltamento degli equilibri nel Medio Oriente premia l’Iran a scapito degli altri attori. Nella foto, un bassorilievo che raffigura Sapore (Shapur) nella vittoria su due imperatori romani Valeriano e Filippo l’Arabo a Naqsh-e Rostam, nei pressi della città di Shiraz. Foto da Wikipedia

Almeno per il momento sembrano allontanarsi i rischi di una guerra totale fra l’Iran e Israele. Come se quella cui stiamo assistendo da mesi in Medio Oriente non fosse già una guerra. Magari a pezzi, come ci ricorda papa Bergoglio. In realtà in questi giorni è riemersa in superficie la contesa mortale fra i due nemici giurati della regione: Iran contro Israele. Che detta in altri termini è l’ostilità di fondo fra una teocrazia/dittatura e una democrazia, anche se indebolita dalla presenza al governo di Gerusalemme della destra religiosa ortodossa degli ebrei.

In termini globali questo confronto fra Teheran e Israele rappresenta un altro episodio, dopo quello dell’aggressione russa contro l’Ucraina, dello scontro fra un’Occidente indebolito, ma pur sempre democratico, e la crescita delle autocrazie nel resto del mondo.

A guardare la mappa del Medio Oriente si rimane stupiti nel constatare quanto è geograficamente piccolo ed esposto Israele e quanto è grande al contrario l’Iran con un territorio che è 72 volte quello israeliano ed una popolazione di quasi 86 milioni di abitanti contro i 9,5 dello stato ebraico. In termini strategici si potrebbe affermare che non vi è storia. Invece Israele è non solo in grado di difendersi ma anche (e troppo spesso) di attaccare senza soverchi timori di essere poi a sua volta colpito ed annientato.

Ma anche per Israele l’apertura di troppi fronti, verso Gaza ad ovest, il Libano a nord e lo Yemen ribelle al sud, può essere insostenibile se vi si aggiunge anche l’Iran.

E’ quindi difficile comprendere perché Gerusalemme dopo essere caduta nella trappola tesagli da Hamas sul suo territorio, trappola che lo ha condotto ad un drammatico isolamento internazionale per le stragi dei palestinesi di Gaza, abbia poi deciso di colpire nel loro orgoglio gli ayatollah iraniani uccidendo il meglio dei propri militari all’estero nella sede diplomatica a Damasco.

Certo queste forze speciali iraniane erano responsabili dell’armamento e del training degli Hezbollah libanesi che bombardano, per ora moderatamente, Israele dai confini settentrionali. La reazione degli iraniani era quindi più che attesa anche perché la loro autorità suprema, l’ayatollah Khamenei, non poteva sostenere l’onta della sfida israeliana di fronte ad un paese in grandissima difficoltà interna sia per la pessima situazione economica che per la perdurante rivolta delle donne e dei giovani contro l’estremismo religioso dei loro governanti. Ma più in generale Teheran è alla ricerca del riconoscimento internazionale di rappresentare per davvero la potenza principale della regione.

Dal punto di vista geopolitico gli sciiti iraniani sono riusciti in questi anni ad assicurarsi forti alleanze nell’area in un asse che va dalla loro capitale verso ovest in Iraq, nella Siria del dittatore Assad fino agli Hezbollah del Libano. è quella che in gergo viene chiamata la “scimitarra sciita” che di fatto taglia il nemico mondo sunnita a metà con la Turchia al nord e la Penisola araba al sud.

In aggiunta, Teheran è intervenuta massicciamente nello Yemen dei ribelli Houthi a sud completando con ciò non solo l’accerchiamento dei concorrenti sunniti, fra cui l’Arabia Saudita, ma anche lo stesso Israele e gli alleati occidentali che ne subiscono le conseguenze dirette con il rallentamento dei traffici marittimi verso Suez a causa delle azioni ostili dei ribelli yemeniti.

Un ribaltamento progressivo degli equilibri nel Medio Oriente che in qualche modo premia l’Iran a scapito degli altri attori dell’area. Riequilibrio che passa anche per l’alleanza militare ed economica con la Russia, cui gli ayatollah forniscono le stesse armi utilizzate nell’attacco notturno contro Israele e che saldano la guerra dell’Ucraina con quella contro Israele.

Gli unici risultati relativamente positivi per lo stato ebraico riguardano sia la dimostrazione (abbastanza scontata) delle capacità tecnologiche dell’esercito israeliano in grado di abbattere circa il 90% delle centinaia di droni e missili lanciati in contemporanea sull’intero territorio sia, e soprattutto, la constatazione che di fronte alla potenziale minaccia dell’Iran l’alleanza occidentale si è nuovamente schierata con Israele, rimasto a lungo isolato. Di fatto nella notte dei missili sono intervenuti a difesa dei cieli israeliani caccia, contraerea e aerei cisterna (per rifornire in volo i jet di Gerusalemme) americani, inglesi e francesi con l’aiuto anche della Giordania. è stata quindi significativa la mossa di Joe Biden che ha fatto capire a Netanyahu che gli Usa rimangono fedeli alleati, purché vi sia da parte del suo governo estremista qualche cenno di moderazione nei confronti di Gaza e l’abbandono di qualsiasi velleità di ritorsione sul territorio iraniano.

Paradossalmente, se vi fosse un qualche briciolo di buon senso da parte del leader israeliano il grande show di potenza apertamente annunciato fin nei dettagli da Teheran potrebbe trasformarsi in un fattore di allentamento della tensione in Medio Oriente.

Ancora una volta quindi lo sviluppo della situazione in quell’area ricade sulle spalle dell’amministrazione americana, che dopo essere “fuggita” dalla regione ai tempi dell’Afghanistan vi è stata ritrascinata dentro per di più in un anno elettorale per Biden, che dovrà dimostrare di essere in grado di gestire le due guerre in corso in questa parte del globo.

C’è quindi da sperare in un soprassalto di razionalità politica da parte del governo Netanyahu per evitare l’estensione ulteriore del grande incendio mediorientale. Ma non è, sia chiaro, una certezza.

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