Matteotti, l’avversario più implacabile di Mussolini

La villa della famiglia Matteotti a Fratta Polesine

Lo scontro frontale tra Giacomo Matteotti e Benito Mussolini cominciò nell’ottobre del 1914. Entrambi socialisti, si divisero aspramente sull’entrata in guerra dell’Italia. Matteotti, nel solco dell’internazionalismo socialista, voleva una sollevazione contro la guerra. Mussolini, direttore del quotidiano del partito, l’“Avanti!”, era passato in fretta dal più assoluto pacifismo a una posizione favorevole alla guerra.

Matteotti salutò, quindi, con sarcastica soddisfazione le dimissioni del compagno-avversario dalla direzione del giornale: avrebbero dovuto avvenire prima, disse, “se l’etichetta rivoluzionaria del Mussolini e certi suoi gesti non avessero abbacinato moltissimi”. Abbacinare: illudere con false speranze. Matteotti aveva capito tutto del futuro duce.

Nacque a Fratta Polesine il 22 maggio 1885. Suo padre, Girolamo, era originario di Comasine, frazione di Peio, nella trentina Val di Sole. Da generazioni i Matteotti commerciavano con successo nel Polesine il ferro delle miniere di quel territorio. Girolamo si stabilì a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, e si arricchì. Sposò Elisabetta Garzarolo ed ebbero sette figli. Tutti con un triste destino.

Giacomo crebbe nel privilegio. Si convertì alla causa del socialismo e dei braccianti che nel Polesine vivevano in condizioni miserabili. Il primo sciopero generale dei mietitori, nell’84, era stato represso con l’esercito. Divenne giurista ed esperto in economia e amministrazione. Un riformista intransigente e antimilitarista. Nel 1916 sposò Velia Titta, molto cattolica. La questione pesava, lui non era credente. Ma si amavano. Ebbero tre figli.

Nel ’21 aderì al Partito socialista unitario, nato dalla scissione con l’ala che fondò il Partito comunista, e ne divenne il segretario politico. Difese in Parlamento i diritti dei tedeschi dell’Alto Adige. La padronanza del tedesco gli consentiva di parlare direttamente con loro. Colse da subito la pericolosità del fascismo e non tacque. Fu per questo aggredito più volte dagli squadristi.

Il 30 maggio 1924 in Parlamento denunciò con un memorabile discorso, tra le continue interruzioni dei fascisti, le aggressioni, le uccisioni e i brogli con cui Mussolini aveva vinto le elezioni: “I candidati non avevano libera circolazione… Nessun elettore si è trovato libero di decidere… Il Presidente del Consiglio affidava ai militi fascisti la custodia dei seggi… L’onorevole Piccinini fu assassinato nella sua casa per aver accettato la candidatura… I nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate…”.

Per tutta risposta i fascisti, il 10 giugno, lo sequestrarono e trucidarono. Mussolini se ne assunse la responsabilità morale e politica. Ma non gli riuscì di zittirlo. Il suo più implacabile avversario continua a smascherarlo.

Questo profilo biografico – che pubblichiamo in occasione del centenario della morte di Matteotti – è tratto dal libro edito da ViTrenD “Tracce nella nebbia. Cento storie di Testimoni” di Vincenzo Passerini, acquistabile in tutte le librerie.

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