Bretzeln, un’invasione?

Il calendario degli eventi che incombe sul Trentino accompagna i suoi cittadini dalla stagione del foliage a quella della neve, o dell’attesa di essa. Per accompagnarla sono arrivati nel corso degli anni i mercatini di Natale; quelli di Trento si organizzano dal 1993, quanto basta per parlare di “tradizione”. È così che il turismo dei mercatini mischiato al turismo dell’autentico e condito con un pizzico di gastro-mania da fine settimana, ha fatto sì che Trento sia diventata non solo una delle “città del Natale”, ma anche la città dei Bretzeln. Se, ipotizzare l’origine di questa nuova presenza è cosa semplice (cioè, che i “Bretzeln di Trento” siano l’innocente bugia che si racconta ai turisti, in nome dello stereotipo che vorrebbe i trentini austriacanti, sudtirolesi), è più difficile risalire con precisione all’inizio del fenomeno, ma possiamo stimare abbia preso piede negli ultimi cinque anni. Non vi è infatti presenza di pani intrecciati né nei manuali sul cibo trentino dello storico Aldo Bertoluzza – che racchiudono ricette dai tempi del Concilio di Trento fino al XVIII secolo – né nell’Atlante dei prodotti agroalimentari del Trentino, edito nel 2012 dal servizio Agricoltura della Provincia.

Eppure, vi è una variante della storia che vuole le ciambelle a tre buchi essere legate ad un episodio ecumenico “nei monasteri del Nord Italia”, dove si sostiene già dal 610 si producesse qualcosa di assimilabile con delle striscioline che ricordavano le braccia incrociate a mo’ di preghiera. I tre buchi che si formavano rappresentavano la Santissima Trinità. Addirittura, si arriva a sostenere che i monaci dessero i Bretzeln come premio ai fanciulli che imparavano a memoria passi della Bibbia o preghiere. Viviamo un momento in cui il gastro-nazionalismo, figlio del localismo e fomentato dalla corsa all’autentico, imperversa a livelli massimi: inorgoglisce e rende fieri. E allora, invece che essere orgogliosi delle nostre soffici spaccate “troppo italiane”, come fossero baguette per i francesi, perché non esporre dei Bretzeln le cui origini sono disputate tra l’Alsazia, la Germania e proprio il Sudtirol? Camminando per il centro storico del capoluogo, e chissà in qualche altre casette arriveranno, si possono osservare diversi cartelli riempire le strade di quello che è un simbolo per eccellenza della panetteria tedesca.

La “colonizzazione gastronomico” in atto è certamente iniziata con un sano spirito di contaminazione tra vicini ma mai si era spinta sino alla panetteria. Il pane quotidiano è dunque l’ultimo punto d’unione tra i due mondi a conciliare una solida base di canederli, speck, strudel, mele e vini? L’avvento dei Bretzeln offusca agli occhi dei turisti l’universo panificatore trentino, fatto di pane semplice, schietto, ma soprattutto fresco: le rosette, le spaccate non meritano visibilità in un mondo in cui il “food porn” dilaga. Pani umili, bianchi, non salati, né decorati con semi o formaggio fuso, o qualsiasi altra variante acchiappa turisti. Pani normali, ordinari, che non confermano nessuno stereotipo pregresso di presunta influenza tedesca. Interpellato a riguardo, Emanuele Bonafini – presidente Aspan Associazione Panificatori della Provincia di Trento – non può che prendere atto con un sorriso della nuova presenza tra le vie del centro. Bonafini eleva la caratura artistica del Bretzeln, facendo notare come già la sua forma, per cui i granelli di sale (o i semi) fanno da guarnizione, richieda un certo livello nella lavorazione e capisce perfettamente come possa risultare attrattiva. “Il Bretzeln si presta bene ad essere mangiato fresco ma ha anche dei tempi di conservazione più lunghi. Non siamo certo gelosi ed apprezziamo la tradizione austroungarica. Sarebbe bene però – aggiunge Bonafini – non dimenticare la nostra storia panaria, che ha più prodotti di quella tirolese. Come Associazione Panificatori, ad esempio, abbiamo riscoperto il Pane delle Palafitte, rinato sulla base di una ricetta di oltre quattromila anni e prodotto con farine a chilometro zero ed integrali, ma siamo anche promotori del Pane delle Dolomiti e del Pan Trentino e di tutte quelle forme di artigianalità che si esprimono in panificio. Abbiamo oltre 600 addetti che lavorano quotidianamente e che rivendicano il loro ‘essere artigiani’ come un valore che li aiuta a portare avanti la loro missione: quella di far arrivare sulle tavole trentine il pane fresco; noi lavoriamo per tutelare loro e la bontà del prodotto che sta nella selezione delle farine”.

Nel mentre, va però considerato che i turisti che affollano in giornata i vari mercatini, hanno bisogno di un’offerta alimentare altrettanto mordi e fuggi per permettere loro di stare al passo di visita e di provare diverse pietanze durante tutto il loro percorso. In economia comportamentale, l’essere esposti alla visione di un bene ne alimenta il desiderio di possesso; nel caso di un turista, quindi, l’ennesimo Bretzeln aumenterà il senso del dovere nell’assaggiarlo, per poter così portare serenamente a termine la sua lista-delle-cose-da-fare.

L’arte panaria è anch’essa indicativa dei cambiamenti in atto nella società dei consumi e come ci spiega il presidente di Aspan: “Oggi, è il panettiere che si adegua al consumatore, considerando le nuove esigenze alimentari e dietetiche e non più il contrario. In questo senso – conclude Emanuele Bonafini – andrebbe tutelata l’artigianalità del panettiere“.

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